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SOS Nicaragua, l’ennesimo caso di eterogenesi dei fini
Il presidente del paese centroamericano, Daniel Ortega, ha già cacciato 3.223 Ong negli ultimi anni, oltre il 50% del totale, con i pretesti più assurdi ma dal 2018 nella sua "guerra" contro la società civile ha preso di mira anche l'associazionismo cattolico e la Chiesa. VITA ha intervistato Padre Ángel Prado, sino a 15 giorni fa Ispettore dei Salesiani del Centro America, per fare il punto visto che le Missioni Don Bosco da oltre un secolo sono presenti nella capitale Managua e nelle città di Granada e Masaya
di Paolo Manzo
Dal 2018 ad oggi il presidente del Nicaragua, Daniel Ortega, ha già cacciato 3.223 Ong, oltre il 50% del totale, tra cui molte internazionali comprese 13 italiane, le ultime due delle quali sono state il M.A.I.S. e Progetto Continenti, il giugno scorso. Una guerra contro la società civile ufficializzata nel 2020 e rafforzata nel 2022 da due leggi liberticide che, in alcuni casi, hanno portato a provvedimenti assurdi, arrivando addirittura a chiudere enti musicali, biblioteche, l’Associazione per i malati di insufficienza renale e persino un’istituzione forniva interventi chirurgici gratuiti per bambini poveri con il labbro leporino, come ha denunciato ieri il quotidiano messicano La Jornada.
I pretesti sono sempre gli stessi: “riciclaggio di denaro“, “finanziamento del terrorismo” ed “attività contro lo Stato“. Accuse usate persino per cacciare l’Associazione delle Missionarie della Carità dell’Ordine Madre Teresa di Calcutta. In realtà il regime da anni sta chiudendo tutte le Ong che Ortega non controlla direttamente, violando le più elementari libertà fondamentali, comprese quelle di associazione, riunione pacifica ed espressione. “Questo odio contro le Ong ha lo scopo di eliminare qualsiasi visione sociale e politica diversa da quella fissata dal regime”, denunciava l’Osservatorio per la protezione dei diritti umani in una dichiarazione del 2 giugno scorso, aggiungendo che “l’obiettivo finale è eliminare ogni possibilità di avere una società civile indipendente in Nicaragua”.
Ma da quasi 5 anni a questa parte il leader sandinista e sua moglie, Rosario Murillo, hanno dichiarato anche un’altra guerra, quella contro la Chiesa ed il suo associazionismo. L’ultima azione di Ortega è stata contro Rolando Álvarez, vescovo della diocesi di Matagalpa, che venerdì scorso è stato condannato a 26 anni e 4 mesi di carcere. Ufficialmente per “tradimento alla patria” e “diffusione di fake news”, in realtà per essersi rifiutato di salire su un aereo il giorno prima, insieme ad altri 222 prigionieri politici espulsi negli Stati Uniti e privati della loro cittadinanza. Già esiliato in Guatemala in passato, ora padre Rolando è diventato il simbolo della resistenza contro gli abusi del regime.
Per comprendere meglio che cosa stia accadendo nel paese centroamericano VITA ha intervistato Padre Ángel Prado, sino a 15 giorni fa Ispettore dei Salesiani del Centro America, che per anni ha avuto sotto la sua ala protettrice proprio il Nicaragua dove le Missioni Don Bosco sono presenti da oltre un secolo e di cui conosce a fondo i gravi problemi.
“La nostra realtà in Nicaragua è oggi al centro delle cronache mondiali, non solo per la liberazione di 222 prigionieri politici e la condanna di monsignor Rolando Álvarez, ma anche per tutto il contesto, indubbiamente molto difficile, che il Paese sta attraversando”. Padre Angel pesa le parole come è comprensibile visto che le Missioni Don Bosco sono in prima linea e, solo nella città di Masaya, aiutano oltre duemila giovani studenti.
Lo raggiungiamo telefonicamente in Costa Rica, paese confinante con il Nicaragua e che, negli ultimi 4 anni, ha ricevuto oltre 100mila profughi in fuga da Managua. Una cifra enorme se consideriamo che la popolazione è di circa 6,5 milioni di abitanti. A rendere difficilissima la situazione è “soprattutto la polarizzazione, con un gruppo che è ancora molto fedele al regime. Non abbiamo i dettagli per poterlo dire, ma capiamo che non si tratta di una fedeltà che nasce dalla libertà, ma piuttosto dalla coercizione, anche se in molte manifestazioni troverete sostegno al governo per le decisioni che sta prendendo. Tuttavia l’altro gruppo è la grande maggioranza e subisce le conseguenze di un regime che sta diventando sempre più totalitario e che, logicamente, si manifesta nei modi che conosciamo, a livello politico, sociale ed economico. La Chiesa in generale in Nicaragua sta soffrendo da molto tempo, soprattutto da dopo le manifestazioni dell’aprile 2018″.
Per comprendere il Nicaragua di oggi dobbiamo infatti partire proprio dal 18 aprile del 2018, quando le strade di Managua si riempirono di manifestanti, soprattutto studenti ma anche tanti lavoratori e contadini, che chiedevano le dimissioni del presidente. La goccia che aveva fatto traboccare il vaso della protesta era economica, ovvero la decisione di Ortega di ridurre le già misere pensioni del 5% e di aumentare invece i contributi a carico dei lavoratori, anche se il malcontento covava da tempo per la sua deriva autoritaria. Nei due mesi successivi i morti della repressione furono 355 secondo la Corte Interamericana per i Diritti Umani.
Oggi Ortega è distante anni luce dal sandinismo che lottava contro la dittatura di Somoza tra il 1961 e il 1979, quando poi arrivò al governo. Lo dimostrano suoi illustri esponenti come l’ex vicepresidente del primo governo Ortega, lo scrittore Sergio Ramírez, costretto all’esilio in Spagna, o Dora María Téllez, la mitica “Comandante 2” ai tempi della rivoluzione, anche lei tra i 222 prigionieri politici espulsi e privati della nazionalità giovedì scorso. Di fatto il Nicaragua oggi è una dittatura simile a quella di Somoza e, per usare l’espressione coniata dal filosofo Wilhelm Wundt, è l’ennesimo caso di “eterogenesi dei fini”.
Ma torniamo a padre Ángel perché, nonostante la repressione, oggi i Salesiani rimangono in Nicaragua in tre grandi città, Granada, la già citata Masaya e la capitale Managua. “Devo riconoscere che fino ad ora ci permettono di prestare i nostri servizi in pace e tranquillità“. Certo, aggiunge, “questo non significa che non siamo osservati, ma questo non ci impedisce di lavorare in modo sereno. Logicamente con grande prudenza, perché ci interessa continuare a stare dalla parte delle persone che serviamo: si tratta di migliaia di bambini e giovani che ospitiamo nelle nostre opere e che amiamo. Ciò che è davvero importante per noi è che ci permettano di continuare a fare del bene. Abbiamo opere educative, sociali, pastorali, un servizio religioso che offriamo ogni giorno e finora questi servizi non ci sono mai stati impediti né sono stati influenzati, ma dobbiamo vedere cosa succede. Niente è sicuro”.
Copyright foto: Pagina Facebook della scuola elementare salesiana di Masaya e di Managua
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