Economia

Sorpresa, torna a languir la Fiat

di Redazione

N ell’autunno del 2008, la nazione tornò a fibrillare per la Fiat. Le scuole di management avevano appena codificato gli insegnamenti del Sergio Marchionne pensiero che aveva ridato luce al crepuscolo che aveva accompagnato gli ultimi giorni di Giovanni Agnelli jr, l’avvocato. Di nuovo si pensò alle rottamazioni per gerovitalizzare la fabbrica di Torino. E di Grottaminarda. E di Melfi. E quant’altro. La presidente della Regione Piemonte, Mercedes Bresso, propose il rinnovo del parco automezzi per il trasporto pubblico. Pare che stavolta fu la crisi finanziaria internazionale a mettere in ginocchio l’intera industria dell’auto, non solo il campione nazionale italiano.

La centralità del manufacturing
Non sarò io ad auspicare la caduta del baluardo dell’Italia industriale, non farò torto al professore Luciano Gallino ( La scomparsa dell’Italia industriale , Einaudi). Abbiamo timore di codardo oltraggio a parlare male di chi sta male nel momento in cui sta male. Riconosciamo la centralità del manufacturing nazionale. Ci inchiniamo all’impressione che fanno le poche grandi multinazionali italiane, ai piani alti delle quali si assaporano potenza e impatto sul mondo, più efficace di quello della politica. Pur riconoscendo tutto ciò, non posso non dirmi stanco di pulsare al ritmo sabaudo e desideroso che da Torino venga un contenuto che ci aiuti a sostenere la congestione delle nostre città e la loro asiatica confusione, specie nel Centro-Sud della nazione. Forse in cambio del venturo, ennesimo sussidio di Stato il management Fiat potrebbe farsi un po’ di punta al cervello e proporre alla nazione quel contenuto che invano attendemmo per alcuni decenni da Giovanni Agnelli jr. In tempi non sospetti: nella critica al bilancio sociale Fiat 2005, pagina 64 de Il barbiere di Stalin , avevamo scritto che «sulla congestione, non possiamo negare che i progetti di mobilità sostenibile [di Fiat] vengono realizzati a Stoccolma e in Italia siamo alle targhe alterne». Do you remember targhe alterne? Torneranno, torneranno…
Ci dica con candore il dottore Marchionne fino a quale livello deve arrivare nel suo cuore la congestione delle nostre città. E non mi dica di chiederlo al ministro dei Trasporti, ché il ministro permanente è lui, ex officio. A Torino fanno passare le auto perfino sopra il passante ferroviario interrato con i denari del resto della nazione. È solo la congestione urbana che giustifica dunque il downturn dell’industria perché la crisi finanziaria frena l’acquisto di chi prende il suv per andare al bar, non frena certo lo sviluppo dell’auto dove lo spazio c’è, perché la stessa crisi finanziaria ha fatto calare il prezzo del petrolio e quindi non abbiamo un problema di risorse energetiche.

Impresa grande, aperta, porosa
Abbiamo qualche dubbio su quanto detto su Vita del 9 gennaio 2009 da Luigi Marino, presidente di Confcooperative: «Il modello delle grandi imprese, pur sostenuto con ogni mezzo, è in affanno. Il modello partecipativo e cooperativo si dimostra solido». E dubbi pure su Vanni Codeluppi che «attacca un sistema capace di stroncare le persone a furia di stimolarle con inutili e artificiosi desideri». Eppure colpisce l’efficacia di quello “stroncare” di Codeluppi. Una domanda ancora: perché Fiat non ha ancora un veicolo ibrido, come la Prius di Toyota, dopo le decine di miliardi che lo Stato versò a Fiat negli anni 80 per fare ricerca su auto innovative? Un gesto di umiltà non guasterebbe.
Forse è ingenuo chiedere un gesto di umiltà e di dubbio, ma l’azienda deve dare un segnale di intelligenza e non può restare la black box che talvolta Aldo Bonomi vede ed ha ragione. Grande impresa dunque aperta, porosa e umile, questo è forse il cambiamento non generico che Marchionne invoca e non dice nel suo discorso ai dirigenti di fine 2008.


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