Politica
Soomaaliya, la cooperazione internazionale animata dalla diaspora
Dopo la guerra civile che ha colpito il Paese africano, la comunità somala in Italia ha deciso di non limitarsi alle rimesse, avviando una serie di progetti di cooperazione. Progetti che hanno portato Soomaaliya Onlus a essere la prima associazione della diaspora inserita nell'elenco dell'AICS. Il presidente Hussein Aden Sheikh Mohamoud racconta la loro storia
di Marco Dotti
È la prima associazione delle diaspore inserita nell’elenco delle organizzazioni della società civile dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS). Fondata a Torino il 20 marzo 2002, Soomaaliya Onlus è presieduta da Hussein Aden Sheikh Mohamoud. Lo abbiamo incontrato mentre è in viaggio tra il Kenya e la Sierra Leone per farci raccontare la loro storia.
Un bel traguardo, una grande responsabilità essere la prima organizzazione delle diaspore registrata nell’elenco dell’AICS…
La responsabilità ci viene dal nostro compito: aiutare, fare, vigilare affinché tutto vada per il verso giusto. La soddisfazione deriva dalla nostra storia. Una storia intimamente legata alla comunità somala in Italia.
Ci racconta qualcosa di questa comunità?
C’è un prima e c’è un dopo. Per capire sia il prima, sia il dopo bisogna andare alla guerra civile scoppiata tra il 1986 e il 1991 che è il vero spartiacque.
Di guerre civili ce ne sono tante, perché è particolare quella somala?
Perché improvvisamente uno Stato e le sue strutture, solide e affidabili, si sono sgretolate. La repentinità di questo crollo costituisce la sua particolarità. La comunità somala in Italia, per quanto poco numerosa rispetto ad altre, era però la prima per le rimesse che inviava. Questo faceva di lei un vero punto di riferimento della Somalia fuori dalla Somalia. Con la guerra è cambiata la situazione materiale, ma sono anche venuti meno i punti di riferimento simbolici. Improvvisamente lo Stato non esisteva più. Così, da un giorno all’altro. Questo ha delle conseguenze importanti che, ancora, si tarda a capire.
Veniamo alla vostra storia...
L’iscrizione nell’elenco delle OSC dell’AICS è avvenuto dopo un lungo e importante processo di crescita e rafforzamento istituzionale dell’associazione, alimentato anche grazie al contributo del Summit Nazionale delle Diaspore.
Il Summit, dal 2017, sostiene le associazioni della diaspora presenti in Italia nelle loro attività, attraverso azioni di formazione e valorizzazione delle competenze e sensibilità espresse dalle diverse realtà con background migratorio presenti sul territorio nazionale…
Esattamente. La nostra storia, però, inizia a Torino quindici anni prima. Precisamente il 20 marzo 2002, quando viene fondata questa nostra realtà. Lo scopo era e continua a essere quello di portare aiuto a chi ha di meno. La Somalia, ovviamente, è diventata un ambito dei nostri interventi, ma non solo. Lavoriamo sull’istruzione, con progetti scolastici, sulla salute, sull’ambiente, sulla cultura e abbiamo lavorato anche a un progetto che sta riscuotendo molta attenzione: la fattoria di Dalsan a Abudwak. Qui abbiamo costruito pozzi e installato recentemente pannelli solari.
L’idea originaria che ha portato alla fondazione di Soomaaliya Onlus si è dunque intensificata: l’aiuto, che inizialmente la comunità somala concretizzava nell’invio di rimesse, doveva andare al di là del cash. Doveva farsi aiuto concreto per lo sviluppo. Un aiuto strutturale, attraverso una rete operativa di competenze e di capacità. Per noi somali era necessario, non sufficiente ma necessario cercare di dare aiuto a una terra devastata anche dal punto di vista ambientale. Ricordiamo che, con la guerra civile, la Somalia è diventata il centro di un traffico internazionale di rifiuti a tutt’oggi poco chiaro al mondo.
Un progetto molto importante è quello sulla sicurezza alimentare per gli sfollati interni a Adudwak…
Qui abbiamo lavorato anche sull’accesso all’acqua. Un tema che riporta al conflitto, perché ridurre i conflitti è possibile ma se ne comprendono le ragioni. Il conflitto per l’accesso alle risorse è, oggi, uno degli snodi del nostro tempo.
Da qui nasce l’idea di creare una fattoria agricola in un’area relativamente poco sviluppata del Paese…
Da fine 2019, ossia da quando abbiamo terminato il nostro progetto in quella zona sono nate altre nove fattorie. Questo è un segno che l’aiuto alla cooperazione, se fatto con le mani ossia con la capacità di lavorare in loco e non solo con il cuore, genera un ambiente diverso. Aiuta le persone a uscire, per quel che è possibile, da una condizione di miseria.
L’intervento della diaspora è stato anche in questo caso fondamentale…
Ha innescato un effetto-domino. Partendo dalla falsariga del nostro progetto, ad esempio, la diaspora canadese e nord americana ha preso l’impegno di creare una scuola. La costruzione fisica della scuola è stata terminata da poco, per cui un progetto genera un altro progetto, ma soprattutto connette esperienze e diaspore attorno all’idea comune di una rinascita sociale. Innescare questo per noi è molto gratificante e ci ripaga di tanti sacrifici.
L’iscrizione al registro AICS è un po’ un suggello di questo impegno e di questi sacrifici…
Direi che un nuovo punto di partenza. Con responsabilità sempre più grandi, ma anche sempre più voglia di fare.
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