Welfare

Sonya: dall’orfanotrofio in Bulgaria alle galere italiane

La storia di una giovane ragazza bulgara, costretta a rubare per vivere.

di Ornella Favero

La storia di Sonya la racconto direttamente io, perché lei con l?italiano fa ancora fatica, anche se adesso, dopo alcuni mesi di carcere, lo parla e capisce abbastanza e di questo è orgogliosa. Sonya viene da uno dei Paesi più poveri dell?Est europeo, la Bulgaria, ed è cresciuta in una delle situazioni più degradate e misere di quel Paese, un orfanotrofio.
A diciott?anni finisce a lavorare in una fabbrica di dolciumi, dove coltiva un unico sogno, quello di andarsene al più presto. I primi soldi che mette insieme, quando compie vent?anni, li ?investe? tutti per farsi portare in Italia. La scaricano a Milano, senza più nulla, quel viaggio le è costato tutto quello che aveva. Di lavorare, senza permesso di soggiorno, non ha nessuna possibilità, così impara a rubare per vivere, e intanto abita dove capita perché “tutta la città era la mia casa”. Da Milano scappa a Venezia, sperando di trovare luoghi più accoglienti, e intanto comincia a bere per darsi coraggio. Il primo arresto avviene quando lei, con un po? di follia e certo senza calcoli da vera ladra, pensa bene di rubarsi una barca perché “avevo bevuto e volevo provare quello che non avevo mai provato”. La vita diventa una sfida a prendersi quello che nessuno le ha mai dato: ruba ancora, si ritrova con parecchi soldi e, ci racconta ora con gli occhi che le brillano, “per una settimana ho vissuto come una principessa”. Poi arriva il processo, dove lei sta sempre zitta, non capisce nulla e non sa dire nulla, perché non ha avuto ancora il tempo di imparare l?italiano.
Ed ecco il carcere: Sonya l?ho conosciuta alla Giudecca, una ragazzina sola, incapace di esprimersi nella nostra lingua, l?ho ritrovata poi nel carcere di Trieste, con almeno la piccola soddisfazione di riuscire a farsi capire nella nostra lingua, ma sempre più depressa per il nulla che la vita le ha regalato: come ultima prospettiva, l?espulsione in quel suo Paese dove non ha e non ha mai avuto nessuno. Avrei tanto voluto dirle che potevo fare qualcosa per lei, perché la sua storia è davvero ?troppo?, troppo misera da sempre, troppo perché non ha un futuro, ma non ha nemmeno un passato. Per la prima volta da quando ho a che fare col carcere, ho percepito invece una solitudine totale, senza nemmeno la possibilità di ricordarsi un momento del passato in cui esistevano degli affetti. Se ricacceranno Sonya in Bulgaria, non troverà nessuno ad aspettarla; in Italia, per lo meno, a differenza che nei disastrati Paesi dell?Est, c?è una rete di sostegno, fatta di una marea di volontari, che si potrebbe occupare anche di lei. So che la Bossi-Fini non dà alternative. Se credessi che i sogni possono avverarsi, sognerei che qualcuno adottasse Sonya: in fondo, ognuno di noi ha diritto ad avere, almeno in un momento della propria vita, un pezzo di famiglia.

Ornella Favero (ornif@iol.it)

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