Politica
Sono militanti, non chiamateli volontari
I blogger di Vita.it Andrea Cardoni e Giulio Sensi lanciano il dibattito: è giusto definire volontari i 100mila militanti presenti ai seggi del centrosinistra? Secondo loro no. Secondo voi?
Per una volta le parole “volontario”, “volontariato”, “volontariamente” occupano spazi importanti dei media nostrani. L’occasione non è un’alluvione, un terremoto o un disastro, ma sono le primarie del centrosinistra. Succede, ad esempio, che domenica 25 alle ore 17 l’Ansa batte questa notizia: a Roma la signora Martinella, cento anni compiuti, ha votato al seggio di via Terni “offrendo il caffè a tutti i volontari e le volontarie”.
Alla fine della giornata il PD dichiarava: “100.000 volontari, 9239 seggi allestiti per oltre 3 milioni di votanti secondo le prime stime. Una grande giornata. Una grande prova di democrazia. E di partecipazione”.
La parola chiave è stata "partecipazione", che poi è alla base delle democrazie occidentali e, nello specifico, della nostra Repubblica. Oltre 100mila volontari. Oggi, nell’era dei social network e di internet i modi per partecipare sono tanti: dalle manifestazioni in piazza a twitter, tutti possono partecipare. Cambiano solo alcune variabili: il tipo di partecipazione, l’intensità, il tempo che ci si mette a partecipare. Ma in ogni caso, qualunque siano queste variabili, la partecipazione emoziona. Come alle Olimpiadi: basta partecipare e l’emozione viene da sé.
Ma (e c’è sempre un “ma”), metti caso che la notizia della signora che offre un caffè ai volontari delle primarie la legga un medico che andato in Africa a operare in un dispensario invece delle sue ferie. O la legga un ragazzo rinuncia al suo sabato sera per fare il turno in ambulanza per la sua associazione di volontariato. O un architetto riesce a progettare un centro anziani ecosostenibile per la sua associazione o una serie di psicologi si uniscano per dare supporto a chi è stato vittima di un terremoto.
Continuate a pensare a tutti i casi che vi vengono in mente e postulate (con un filo di cinismo) che c’è sempre chi si rivendica più volontario degli altri. E che la sua opera di volontariato verso gli altri è sempre più pura e utile di quelle che fanno gli altri.
Ora la questione è che quelli che un tempo erano i militanti, simpatizzanti, elettori di un partito, oggi vengono chiamati (dai partiti e dagli organi di informazione) e considerati (dalla gente comune) volontari. E’ passato sotto silenzio, senza nessuna riflessione, ma ormai è un dato di fatto. E non lo è soltanto in Italia: guardate il form per diventare volontario della campagna elettorale di Obama. Sorvolate l’oceano e date un’occhiata a quelloper diventare volontario nella campagna di Tabacci (visto il ballottaggio, senza preferenze, abbiamo scelto un candidato fuori dalla contesa)
La riflessione non è soltanto semantica: l’attività di volontariato è talmente tanto variegata ed eterogenea che ormai, e a ragione, si parla di volontariati. Ma dietro alle parole e ai cambiamenti di significato si può nascondere il cambiamento di un mondo. La tendenza della politica all’appropriazione di alcune categorie e di alcune parole è sempre esistita. Soprattutto quando queste parole evocano valori positivi e attività lodevoli. Impossessarsi delle parole chiave per aprire sentimenti positivi.
Oggi la parola volontario corrisponde anche all’attività politica. Ed è un dato incontrovertibile perché come abbiamo visto è sotto i nostri occhi. Questo ci impone una serie di riflessioni: fare politica, impegnarsi per un partito o una coalizione è un atto di volontariato? Organizzare gazebo e votazioni per far esprimere un voto è un atto di volontariato? Se si: qual è la discriminante con gli altri tipi di volontariato? Dov’è la discrepanza?
Proviamo con un esempio: la gratuità. Soprattutto in tempi di crisi, chi fa un’attività non retribuita può essere chiamato volontario, indipendentemente dall’attività? La gratuità e l’attività politica senza retribuzione di chi si è impegnato nelle primarie è stato oggetto di un dibattito che ha coinvolto i candidati. “La nostra campagna costa un quinto di quella di Renzi. Il resto lo fanno e lo faranno migliaia di volontari in giro per tutta l'Italia" ha dichiarato il 17 ottobre Nicola Fratoianni, coordinatore SEL.
Altre volte il termine volontario viene utilizzato in di raccolte fondi e mobilitazioni ad esempio per costruire la sede di un movimento, come ha fatto Alleanza Democratica che lo scorso 27 ottobre ha promosso un convegno per “costruire la Casa dei Volontari della buona politica”. È forse l’agire all’interno della sfera pubblica un atto di volontariato? È l’impegno civile? È la manomissione delle parole? O dei significati?
Rosa Luxemburg diceva che “chiamare le cose con il proprio nome è un atto rivoluzionario”. Ecco, iniziamo da lì. Siamo rivoluzionari una volta tanto. Chiamiamoli militanti, e preserviamo il volontariato, dedicando questa bella parola a chi orienta la sua azione alla solidarietà e gratuità per la comunità. Con tutto il rispetto e la stima di chi ancora cerca di fare politica.
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