Famiglia

Sono le famiglie con più figli a rinunciare (spesso) alle vacanze

Nel 2020, stando al rilevamento del centro di ricerca sulle forme di povertà dei minori di Openpolis, è diminuita la quota di nuclei che dichiarano di non potersi permettere le vacanze. Tuttavia il calo è stato asimmetrico: tra le famiglie con almeno 3 figli minori sono ancora più del 40% quelle che devono rinunciarvi

di Luca Cereda

All’interno del bilancio familiare, soprattutto per le famiglie in difficoltà economica, le vacanze sono spesso una delle prime voci di spesa a essere sacrificate. Un fenomeno, stando al rilevamento del centro di ricerca sulle forme di povertà dei minori di Openpolis, che non è affatto residuale: nel 2020, primo anno di emergenza Covid, circa il 37% dei nuclei familiari ha dichiarato di non potersi permettere una settimana di ferie all’anno lontano da casa.

In media 4 famiglie su 10 rinunciano alle vancanze per motivi economici

Una tendenza ancora più problematica quando riguarda le famiglie con figli. Per bambini e bambine le vacanze estive rappresentano infatti un momento di svago, in cui dare concretezza al diritto al gioco e al tempo libero riconosciuto dalla convenzione Onu sui diritti dell’infanzia.

Accanto allo svago, le vacanze rappresentano anche la possibilità di condividere esperienze con la propria famiglia e un'opportunità formativa unica nei mesi di sospensione del percorso scolastico. Aspetti ancora più importanti in seguito all'emergenza Covid, per il suo impatto sulla socialità e sui livelli educativi di ragazze e ragazzi. Non casualmente, uno degli aspetti che ragazze e ragazzi hanno indicato come più problematici durante la pandemia è stato proprio l'impossibilità di viaggiare. In una recente indagine Istat, oltre la metà degli alunni delle scuole secondarie lo ha segnalato come la maggiore criticità. Si tratta dell'attività citata più spesso, anche prima della libertà di uscire (49%) e della frequentazione di feste, cene e aperitivi con gli amici (48%).

Per questi motivi, è importante valutare le disuguaglianze tra i nuclei familiari in termini di accesso alle vacanze e come questa possibilità stia cambiando nel tempo.

Il calo delle famiglie che rinunciano alle vacanze

Complessivamente, la quota di famiglie che per un disagio economico sono costrette a rinunciare alle vacanze è diminuita, come si osserva dalla serie storica degli ultimi 15 anni.

Dopo l'aumento seguito alla recessione tra 2008 e 2012, quando crebbe di oltre 10 punti in meno di un lustro, la percentuale è progressivamente calata negli anni successivi. Scendendo sotto la soglia del 45% dal 2017 e attestandosi al 42,7% nel 2019.

Nel 2020 in media è sceso al 37%: un dato su cui è possibile ipotizzare abbia avuto un'incidenza il bonus vacanze, previsto proprio in quell'anno dal decreto 34/2020.

"Per il periodo d'imposta 2020 è riconosciuto un credito in favore dei nuclei familiari con Isee (…) non superiore a 40.000 euro, utilizzabile, dal 1° luglio al 31 dicembre 2020, per il pagamento di servizi offerti in ambito nazionale dalle imprese turistico ricettive, nonché dagli agriturismo e dai bed & breakfast (…)", secondo il Dl 34/2020, art. 176. Un provvedimento rivolto ai nuclei familiari con al massimo 40mila euro di Isee e successivamente esteso fino al 31 dicembre 2021. Tuttavia il calo è stato asimmetrico tra le diverse famiglie, risultando più contenuto tra i nuclei con almeno 3 figli piccoli.

Il problema è più grave tra le famiglie numerose

Le famiglie numerose, con almeno 5 membri, sono quelle che più spesso rinunciano alle vacanze (44,1% del totale nel 2020). Un dato di diversi punti superiore alla media nazionale (37% nello stesso anno). Insieme ai nuclei formati da una sola persona si tratta della tipologia familiare che con più frequenza non può permettersi una settimana di ferie all'anno.

Se si isolano le sole famiglie con minori a carico, si osserva come al crescere del numero di figli piccoli cresca anche la quota di quelle che non possono permettersi ferie. Infatti il 44.5% delle famiglie con almeno tre figli, rinuncia alle vacanze. Sebbene si registri un miglioramento generale tra 2019 e 2020, esso è stato asimmetrico. In presenza di un solo figlio piccolo, la quota di nuclei che non possono fare vacanze è diminuita di 6,4 punti percentuali (dal 37,2% al 30,8%). Con due figli il calo è stato di oltre 9 punti: dal 41% al 31,8%. Nelle famiglie con almeno 3 figli il calo – pur importante – è stato più contenuto, inferiore a 5 punti.

Allo stesso tempo va osservato come, in una prospettiva di lungo periodo, la riduzione rispetto agli anni della crisi del decennio scorso sia molto più nitida. Nel 2012 il 61% dei nuclei con almeno 3 figli dichiarava di non potersi permettere una settimana di ferie, così come circa la metà di quelli con uno o due figli. Nel 2017 la quota era scesa al 49,1% per le famiglie con 3 o più figli e al 40% circa per le altre, per poi scendere alle cifre attuali. Un calo importante, che tuttavia non deve far dimenticare come oltre il 30% dei nuclei con uno o due figli e quasi il 45% di quelli con almeno 3 figli non possano permettersi vacanze.

L'impatto territoriale della vulnerabilità sociale

Nel confronto tra le aree geografiche, si osserva come la quota di famiglie che non possono permettersi una settimana di ferie all'anno sia molto superiore nel mezzogiorno.

Superano la metà del totale sia nel sud continentale (50,8%) che nelle isole (50,1%). La percentuale è più contenuta nel resto del paese, anche se riguarda comunque più di un nucleo su 3 nel centro Italia (37,2%) e oltre uno su 4 nel nord-ovest (28,8%) e nel nord-est (26,7%). Sono 1 su 2 le famiglie del mezzogiorno che nel 2020 non potevano permettersi almeno una settimana di vacanze. Si tratta di dati medi per il totale delle famiglie, per cui in questo caso non è disponibile la disaggregazione rispetto al numero di figli.

Il numero medio di componenti per famiglia è maggiore in regioni del mezzogiorno come Campania, Puglia, Sicilia, Basilicata. Tenendo presente il forte collegamento tra le numerosità del nuclo famigiare, la presenza di figli piccoli e i livelli di povertà assoluta, è ragionevole ipotizzare che proprio in questi territori il fenomeno possa incidere di più. In quanto esposti a una maggiore vulnerabilità sociale.

Nella difficoltà di ricostruire questi fenomeni a un livello disaggregato come quello locale, l'indice di vulnerabilità sociale e materiale è uno strumento che consente una mappatura della situazione sul territorio. Per quanto parziale, e purtroppo alimentato con dati risalenti all'ultimo censimento generale, l'indice elaborato da Istat sintetizza in una misura unica diversi indicatori della fragilità economica dei residenti.

Tra questi, oltre all'incidenza delle famiglie numerose, la percentuale di quelle con potenziale disagio economico, calcolata come quota di nuclei con figli dove la persona di riferimento ha meno di 64 anni e nessun componente è occupato o ritirato dal lavoro. Ma anche la presenza di famiglie monogenitoriali giovani, di quelle composte solo da anziani, la quota di popolazione adulta (25-64 anni) senza titolo di studio, la percentuale di giovani neet e l'incidenza di persone che vivono in grave sovraffollamento. Tutti segnali di una maggiore fragilità del tessuto sociale.

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