Inclusione

“Sono inclusivo”, gli studenti imparano a raccontare il mondo della disabilità

Un progetto condotto dal liceo Volta di Milano si è concluso con la realizzazione di una prima serie di podcast, in cui gli studenti trattano la materia della disabilità e dell'inclusione con una particolare attenzione al linguaggio. L'iniziativa di Cbm Italia e Fondazione Son

di Luigi Alfonso

«E se ti dicessi che la disabilità non è una limitazione ma una forma di diversità che arricchisce la società?». La voce della giovanissima Sofia introduce così al trailer di “Punti di vista”, una prima serie di podcast realizzati da Cbm Italia per raccontare il mondo della disabilità e dell’inclusione attraverso lo sguardo e le voci degli studenti del liceo “Volta” di Milano. Il podcast, promosso con la Fondazione “Speranza oltre noi – Son”, rappresenta l’elaborato finale del progetto didattico “Sono inclusivo”, al quale ha partecipato una classe durante lo scorso anno scolastico con l’obiettivo di favorire l’inclusione e il protagonismo dei giovani con e senza disabilità, educare alla diversità e sensibilizzare l’opinione pubblica sui diritti delle persone con disabilità.

Due studenti del liceo Volta di Milano in sala di registrazione

Nel corso dei mesi e guidati da un team di esperti, i ragazzi hanno acquisito diverse conoscenze sui diritti umani, in particolare sui diritti delle persone con disabilità, e sui comportamenti che contribuiscono alla costruzione di una società inclusiva. Il lavoro ha portato alla realizzazione di tre puntate, nelle quali i giovani protagonisti hanno dialogato tra di loro, intervistato ospiti e si sono cimentati nella registrazione (con la supervisione dell’autore e sceneggiatore Jacopo Cirillo, che ha curato il percorso di realizzazione e produzione del podcast) raccontando quanto sia importante utilizzare un linguaggio inclusivo e consapevole nella vita di tutti i giorni. Hanno affrontato, inoltre, il tema della discriminazione.

Beatrice e Luca, nel corso della prima puntata dal titolo “Non si può più dire niente”, affrontano il tema del linguaggio inclusivo e dell’importanza di scegliere le parole giuste nel linguaggio quotidiano, in modo da poter cambiare il nostro punto di vista. «Smettendo di chiamare una persona in sedia a rotelle “poverina”, questa smetterà di apparirci come una vittima sempre sofferente», viene sottolineato in un passaggio della puntata. Lo spiega bene in un’intervista Anna Rossi, presidente dell’Unione italiana lotta alla distrofia muscolare – Uildm, collaboratrice di Ledha Milano e persona con disabilità, che racconta la sua esperienza legata a un uso scorretto delle parole.

«Le parole sono il mezzo che noi usiamo per raccontare il mondo, quello che esiste e quello che non esiste», sostiene Rossi. «Se una cosa la raccontiamo male, diamo vita a qualcosa che non è esattamente vero. Nel caso della disabilità, per tanto tempo, sono stati usati (non necessariamente in modo sbagliato, cattivo) dei termini che non raccontano la realtà. Faccio il mio esempio personale: a volte scrivono “Anna soffre di”, facendo riferimento alla mia patologia. Io però conduco una vita che, certamente, ha avuto dei momenti complessi e di sofferenza, come accade a tutti, ma io non faccio una vita di sofferenza: la mia è una vita attiva, piena, normale da tantissimi punti di vista».

Nella seconda puntata, “Lo sport è per tutti”, Francesca e Marta si dedicano allo sport inclusivo intervistando persone con e senza disabilità, tra cui Valentina Bertani (ballerina e insegnante jazz cieca), alcuni atleti della squadra del Sanga Baskin di Milano e Anna Rossi (atleta di hockey in carrozzina). Nella terza puntata, “Chi interpreta chi”, Francesca e Jacopo si confrontano sul tema della discriminazione all’interno dell’industria cinematografica, elencando film e attori con e senza disabilità, chiedendosi se i personaggi con disabilità dovrebbero essere interpretati da attori disabili oppure no.

«Parlare di disabilità non vuol dire guardare da un’altra parte, ma nella stessa direzione, ed è quello che questi ragazzi e ragazze hanno cercato di fare attraverso il podcast “Punti di vista”», è il commento di Massimo Maggio, direttore di Cbm Italia. «Nel corso dell’anno scolastico si sono messi in gioco e sperimentato in prima persona l’uso di un linguaggio e di comportamenti inclusivi a partire dalla quotidianità di ciascuno. Il progetto “Sono inclusivo” ci permette di coinvolgere il mondo della scuola, che crediamo sia fondamentale per contribuire a diffondere una cultura dell’inclusione a partire dai giovani».

«Questo progetto ci ha dimostrato che costruire una cultura di relazioni e di incontri è importante per superare individualismi e guardare verso chi è più fragile. Anche lavorare a questo podcast ha permesso ai ragazzi di confrontarsi, in profondità, con il senso di comunità inclusiva che abbraccia e accoglie i loro coetanei con o senza disabilità», è il parere di don Virginio Colmegna, presidente della Fondazione Son.

Valentina Simioli

«Nell’anno scolastico 2022/2023 si è tenuta la seconda edizione di questa iniziativa. E ora vorremmo partire per il terzo anno consecutivo, magari coinvolgendo anche altre scuole superiori per creare un confronto ancora più animato, uno scambio più ricco tra i ragazzi», spiega Valentina Simioli, content manager di Cbm, che ha seguito la realizzazione del progetto sin dalla nascita. «Abbiamo voluto dare a un gruppo di ragazzi tra i 16 e i 18 anni la possibilità di sperimentare dimensioni con le quali solitamente non sono in relazione. Da febbraio 2023 hanno partecipato a incontri di formazione e gruppi esperienziali. Anna Rossi, rappresentante di Ledha Milano, ha presentato loro un excursus molto ampio e comprensivo di tutte le tematiche legate al linguaggio che si utilizza nell’ambito della disabilità, ma anche alle varie forme di discriminazione, all’abilismo, all’inspiration porn, a tutte le espressioni che sentiamo sui canali di informazione ma che non identifichiamo molto bene nel loro significato. Soprattutto qual è il legame tra la parola e l’azione, tra la parola e il comportamento. Hanno poi seguito una serie di laboratori esperienziali, di cui uno di danzaterapia con una danzatrice cieca, Valentina Bertani, un laboratorio di arteterapia con una nostra collega di Cbm, Ilaria Guida, per mettersi sempre in relazione al corpo nello spazio in assenza del senso della vista. E poi un allenamento di baskin, il basket inclusivo, grazie alla collaborazione preziosissima dell’associazione San Gabriele Basket di Milano».

«Desideriamo contribuire alla diffusione di una cultura dell’inclusione e promuovere i diritti delle persone con disabilità», precisa Simioli. «Questo si può fare soltanto attraverso la conoscenza della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità e sulle sue applicazioni. Si tratta di un documento che è vincolante per i Paesi che la ratificano. In questo percorso i ragazzi sono arrivati ad una consapevolezza che hanno poi messo prima nero su bianco e poi trasferito in voce al microfono del podcast».

Jacopo Cirillo, autore e sceneggiatore

«Dopo aver fatto alcuni incontri, ho provato a ragionare con i ragazzi sul modello di una vera redazione, per capire insieme quali fossero le storie più interessanti, i temi più importanti, e poi provare a metterle in un discorso coerente e narrativo che raccontasse un tema attraverso una o differenti storie», racconta infine Jacopo Cirillo. «Ovviamente la questione del linguaggio è importante: quello del podcast risiede un po’ a metà tra il testo di un libro e quello di una conferenza orale. Ho notato che i ragazzi hanno bene in testa come funziona questo tipo di comunicazione, sono abituati ad ascoltare i podcast e mi ha sorpreso il fatto che alcuni ascoltassero podcast di differenti tipologie. Io ho 41 anni, loro ne hanno 16-17, ma rispetto alla mia generazione hanno una maggiore consapevolezza dell’uso di un linguaggio inclusivo e che abbia rispetto per chiunque. Dunque, non abbiamo dovuto sforzarci tanto nel ricercare un linguaggio inclusivo. Hanno imparato molto velocemente l’uso di termini appropriati perché già avevano un sistema di comunicazione decisamente consapevole della realtà circostante: mi ha sorpreso vedere come alcune questioni che noi dibattiamo sono, per questa generazione, per la maggior parte abbastanza introiettate. C’erano da fare delle minime correzioni lessicali, che tuttavia non hanno cambiato il loro modo di essere, di esprimersi, di comunicare. Sanno che alcune frasi di uso comune non sono corrette. Per esempio, “costretto in carrozzina”: la persona in carrozzina ha la legittimità di autorappresentarsi e di autodeterminarsi come vuole. Ma avendo studiato linguistica, so che sono le parole e l’uso che ne facciamo a costruire e dare forma al mondo, alle nostre opinioni. Quindi, se l’espressione “costretto in carrozzina” diventa di uso comune, al suo interno contiene un giudizio di valore, anche se involontario e in buona fede, sulla persona e sulla sua condizione. “Costretto” e “negro” non sono parole neutre perché, nel tempo, sono state caricate di una valenza negativa. È una battaglia culturale, come lo è stata quella del femminismo. Il lavoro sul linguaggio è importante perché altrimenti continueremo sempre a parlare di qualcuno “costretto in carrozzina” e, quando lo vedremo, ci farà pena o tristezza, quindi lo dovrò trattare diversamente. Bisogna tenere conto del potere simbolico delle parole e del modo in cui queste parole si caricano di significati nel tempo. Dobbiamo sforzarci di rendere il linguaggio più comprensivo e inclusivo e meno giudicante possibile».

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