Cultura

«Sono i volontari l’altra mano di papa Wojtyla»

Il direttore del dicastero pontificio per gli aiuti umanitari è stato in Albania. «Qui manca ancora tutto. Ma la cosa peggiore è lo stato dei profughi.

di Carlotta Jesi

«Perché la vicinanza del Papa alle vittime di questa tragedia sia avvertita in modo più concreto, invio Lei, venerato Fratello, quale presidente del Dicastero della Santa Sede preposto agli aiuti umanitari, in Albania, per portare ai profughi di così immane tragedia il contributo di solidarietà spirituale e materiale mio e dell?intero popolo cristiano….Ai bambini, alle madri, agli anziani che incontrerà dica che il Papa è con loro». A mandare in missione monsignor Paul J. Cordes è stato il Papa in persona. Con una lettera indirizzata direttamente ai profughi del Kosovo e scritta a poche ore di distanza da quella che il suo ?ministro degli esteri? monsignor Jean-Louis Tauran avrebbe consegnato al loro carnefice, a Milosevic. Con poche e semplici parole, scritte da Giovanni Paolo II il 30 marzo scorso, proprio mentre il mondo intero si chiedeva se almeno per Pasqua le bombe sarebbero cessate. Se davvero gli aiuti umanitari sarebbero riusciti laddove le diplomazie, i premier e la storia avevano fallito. Insomma, un messaggio diverso e molto ?concreto? che monsignor Cordes ha subito ?trasportato? in Albania. È da lì, dove lo raggiungiamo telefonicamente, che Cordes tenta con ?Vita? un primissimo bilancio della sua missione nei Balcani. «Dovevo fermarmi qui solo un giorno», dichiara da Tirana, «e invece sono rimasto. Perché qui rappresento l?altra mano del Papa, quella umanitaria, che insieme a quella diplomatica cerca di limitare la violenza». In che modo è possibile? «Stando in mezzo a chi soffre, alle popolazioni che hanno visto scorrere il sangue e sentito i missili. Oggi ho celebrato una messa leggendo ai profughi la lettera del Papa. Vedeste come hanno paura, come sono stanchi. Per loro qui ci sono solo i volontari, li ho incontrati proprio oggi pomeriggio. E anche a loro ho detto che rappresentano l?alternativa alla guerra, che sono loro la ?via umanitaria?. Purtroppo l?unica che al momento riesca davvero a operare in queste settimane». Proprio mentre parliamo, monsignor Tauran torna a Roma con in tasca il no di Milosevic, come è stata accolta in Albania questa nuova sconfitta diplomatica? «Abbiamo sperato tutti che la missione diplomatica funzionasse, ma intanto continuiamo a lavorare. Purtroppo in condizioni veramente proibitive. Mancano i volontari, soprattutto quelli veramente preparati, e perfino i luoghi per accoglierli. Ma la cosa peggiore è lo stato dei profughi». Ci spieghi meglio. «Molti hanno subito danni psichici, sono scioccati e cominciano a morire. Ieri sono stato a Kukes, la porta del Kosovo, e fa un freddo terribile. La gente rimane in piedi anche tutta la notte per passare il confine. E poi quando entra non si può lavare. Si sentono oppressi, e anche se hanno del cibo le condizioni di vita sono davvero incredibili. L?unica cosa positiva è la solidarietà dimostrata dalle famiglie albanesi che accolgono i profughi. Ma molto resta ancora da fare. Qui bisogna organizzare l?assistenza, ma per davvero. E ai rifugiati dobbiamo dare anche qualche speranza. Sia pratica che spirituale, che umana. Il Vaticano certo ha già mandato molti aiuti, ma ne servono altri. Perché, come ha scritto il Papa, ?sorga finalmente il giorno sospirato della pace?». Una pace lontana e purtroppo anche strumentalizzata, ma che resta l?unica alternativa. Cosa farà, monsignor Cordes, tornando in Italia? «Continuerà l?impegno umanitario a favore di chi soffre. Per Giovanni Paolo II rimane ?l?unica vera risposta alla sofferenza, all?odio, alla violenza e alla morte?».


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