Volontariato

Sono don Gino, il prete di servizio

Io ho cominciato così /4: Gino Rigoldi. Il fondatore di Comunità nuova racconta i suoi primi passi.

di Sara De Carli

In principio erano i calabresi, quelli che arrivavano con la valigia di cartone e non si lavavano i piedi da tre mesi. E lui li metteva di nascosto nelle camere tirate a lucido del collegio De Filippi a Varese. Poi vennero i gruppi antimperialisti, eskimo, barba lunga e ?compagni all?attacco?, e lui se li portava in oratorio a fare il ?controfestival?, a San Donato Milanese, col disappunto del parroco. D?altronde il vescovo Citterio già ai tempi del seminario l?aveva intuito: «Questo Rigoldi non ha spirito ecclesiastico», diceva. Mentre lo racconta don Gino Rigoldi, che oggi di anni ne ha 66 ed è prete da 38, sorride sereno, come a dargli ragione: «Ho sempre avuto bisogno di fare il prete in un modo diverso, di servizio. La vita liturgica e quella della parrocchia non mi hanno mai attirato». Lo attiravano invece i giovani, soprattutto quelli un po? sciamannati, anche se ci tiene a sottolineare che «ho feeling con tutti, non è che io abbia la fissa degli sfigati». Attirano loro, attiri tu, finisce che don Gino fa da calamita per le più varie espressioni del disagio giovanile. Anzi, di persone: «Perché la condizione per educare è che l?altro esista nella tua mente e nel tuo sguardo: è la relazione il vero pilastro dell?educazione». Il 1972 è un anno di svolta. A 33 anni chiede di essere destinato al Beccaria, il carcere minorile di Milano, come cappellano. Di lì, in quegli anni, passano fino a 1.600 ragazzi l?anno, perlopiù figli di immigrati dal Sud Italia. Per loro un soggiorno al Beccaria è meglio di un diploma al liceo classico, mentre «oggi c?è individualismo addirittura nella malavita. Le chiamano baby gang, ma sono solo gruppi opportunisti e occasionali, senza legami». Gli assegnano un piccolo appartamento dentro il Beccaria, con uscita indipendente. Prima di allora don Gino non aveva mai messo piede in carcere, e la prima impressione è quella che si prova davanti a un quadro di Escher: un accrocchio di scale che si arrampicano fino al terzo piano, sali da una parte e ti accorgi che non volevi andare lì, ma non puoi scendere da dove sei salito, né passare alle celle di un altro gruppo. «O nuoti o affoghi: ho imparato a nuotare». Anche perché don Gino ha un modo di fare che spiazza: davanti alla violenza, anziché impaurirsi si arrabbia. Persino durante una rivolta, da solo di fronte a 50 ragazzi che brandivano bastoni, coltelli e pezzi di vetro. «Allora», ricorda, «incrociavi personalità violente, magari delinquentoni che poi hanno fatto sette omicidi, però si parlava una lingua comune. C?erano personalità strutturate, capaci di mettersi in movimento. Oggi invece i ragazzi sono fragili e immaturi. A volte mi sembra di dover fare la mamma più che il papà: i ragazzi hanno bisogno di un accudimento anche fisico, vogliono darti il bacino? Poi però fanno una fatica terribile a prendere coscienza del male fatto: ?cosa ho fatto? un omicidio? ma va, io gli ho dato una coltellata, poi è lui che è morto. Comunque era uno stronzo?. E tu cosa fai, li fai uscire? Serve un linguaggio che arrivi a queste coscienze polverizzate: dobbiamo trovarlo noi, non loro». La logica di don Gino è semplice: se c?è un bisogno, lui risponde. «Per rispondere servono un posto, le competenze e il senso del limite: non si possono avere relazioni personali con duecento persone. Oggi dal punto di vista educativo c?è un analfabetismo pauroso: io vado in giro a dire banalità come questa e la gente dice che sono intelligente!». Ha il senso del limite, don Gino, e anche quello dell?umorismo. Beccaria, scatti d’orgoglio L’album di Don Gino Don Gino Rigoldi arriva al Beccaria nel 1972. Eccolo in due bellissime foto d?epoca: sopra è insieme ad alcuni ragazzi che ospitava in casa sua, dentro al Beccaria, nel 1973; qui sotto, durante una messa nella cappella del carcere. «Allora i ragazzi venivano tutti dalle periferie», ricorda don Gino, «e i reati erano diversi in base al quartiere: quelli della Comasina facevano soprattutto rapine; quelli di Quarto Oggiaro tanti furti; quelli di Baggio erano specializzati in spaccio? E io mi chiedevo: cos?è, se uno è ricco è virtuoso, se è povero è un delinquente?». Fin dalle prime settimane, don Gino ospita nel suo appartamento i ragazzi in uscita dal carcere e nel 1973 fonda Comunità Nuova, un?associazione che gestisce comunità alloggio per giovani in difficoltà. Nella foto in basso, del 1978, don Gino riceve un diploma di benemerenza dalle mani dell?allora sindaco di Milano, Carlo Tognoli. Info: www.comunitanuova.it


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