Formazione

Somalia, quasi 50mila in fuga da Mogadiscio

Sono i numeri dell'esodo nelle ultime due settimane. L'Unhcr: situazione umanitaria sempre più disperata

di Redazione

In base alle informazioni disponibili, a partire dall’inizio di febbraio quasi 100mila persone hanno lasciato la capitale somala Mogadiscio, 47mila dei quali solamente nelle ultime due settimane. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) – che ha elaborato queste cifre sulla base di informazioni raccolte da una rete di monitoraggio di organizzazioni non governative locali – prevede che i numeri cresceranno ulteriormente, nonostante nella giornata di ieri sia stata registrata una pausa negli scontri. Durante il fine settimana, i combattimenti tra forze del Governo Federale di Transizione, ribelli e milizie locali sono stati intensi.

Le persone fuggite da Mogadiscio si sono dirette soprattutto verso la limitrofa regione di Shabelle, nel sud-ovest della Somalia, in un esodo che le agenzie partner non hanno esitato a paragonare a quello provocato dalla caduta del regime di Siad Barre e dalla successiva guerra civile, oltre 15 anni fa. Secondo organizzazioni non governative locali, quasi 50mila persone sono attualmente sfollate nella parte meridionale della regione di Shabelle, circa 17mila delle quali si sono stabilite ad Afgoove – una cittadina 30 chilometri a ovest di Mogadiscio – e altre 10mila a Marka, circa 60 chilometri a sud-ovest della capitale. Inoltre, 17mila persone sono fuggite nella parte centrale della regione di Shabelle, mentre circa 2.700 persone, si sono spostate più oltre 700 chilometri a nord-ovest di Mogadiscio, verso la città di Galkayo, per riunirsi a famigliari o a membri del proprio clan.

Vi sono inoltre notizie non ancora confermate della presenza di 2mila nuovi sfollati interni a Doble, una cittadina di confine di fronte a Liboi, un villaggio keniano che costituisce uno dei punti di accesso ufficiali tra Somalia e Kenya. Il confine tra Kenya e Somalia è chiuso ai rifugiati e ai richiedenti asilo dallo scorso 3 gennaio.

Le precarie condizioni di sicurezza a Mogadiscio ostacolano l’accesso delle agenzie umanitarie alla capitale e alle regioni circostanti, rendendo ancora più disperata la situazione dei civili. Nel proprio deposito di Mogadiscio, l’UNHCR dispone di beni di prima necessità per circa 5mila famiglie – tra cui teli di plastica per alloggi, materassi, taniche – ma l’area in cui si trova il magazzino è irraggiungibile. Non appena gli operatori avranno accesso al magazzino e le condizioni lo consentiranno, l’UNHCR procederà alla distribuzione di questi aiuti agli sfollati nella regione di Shabelle. L’Agenzia sta cercando di far arrivare a Baidoa altri aiuti, che saranno poi trasportati ad Afgoove e a Marka per essere distribuiti alle famiglie sfollate.

Le persone in fuga da Mogadiscio verso la regione di Shabelle sono per lo più donne e bambini e viaggiano a bordo di piccoli veicoli, camion o autobus. Alcuni utilizzano carriole, carretti trainati da asini, mentre altri si spostano a piedi. Alcune famiglie sono state costrette a lasciare a Mogadiscio i membri della famiglia più deboli, i malati o gli anziani. Le strade in uscita da Mogadiscio, in particolare quella che porta ad Afgoove, sarebbero congestionate dal traffico.

In base alle informazioni disponibili, gli affitti nella regione di Shabelle sono saliti alle stelle, rendendo praticamente impossibile alle persone trovare una sistemazione. A Marka alcuni proprietari si sono rifiutati di affittare le proprie case agli sfollati in arrivo da Mogadiscio, mentre altri richiedono un pagamento anticipato pari a quattro mensilità di affitto. Quasi tutti i residenti della regione di Shabelle stanno ospitando parenti o membri del proprio clan. Gli sfollati che non hanno parenti o legami clanici vivono sotto gli alberi, ai lati delle strade o completamente all’aperto. Sprovvisti di un alloggio adeguato, di acqua, cibo e servizi igienici, molti per sopravvivere ricorrono all’accattonaggio.

Più a sud, gli sfollati giunti nella città portuale di Kismayo hanno trovato un’accoglienza più ostile da parte degli abitanti locali, che farebbero pagare persino l’ombra sotto gli alberi.

Nelle aree intorno ad Afgoove, le persone sono costrette a fare file di oltre 12 ore davanti ai pozzi per procurarsi l’acqua. Gli operatori dell’UNHCR riferiscono che in alcune di quelle aree il prezzo dell’acqua è cresciuto fino a venti volte, da una cifra corrispondente a 7 centesimi di dollaro USA per 20 litri d’acqua fino a 1,33 dollari. Molte persone ora sono costrette a bere l’acqua del fiume Shabelle, rischiando la diffusione di malattie come la dissenteria o il colera. A causa della scarsità di risorse e del sovraffolalmento delle città e dei villaggi nella regione di Shabelle, molte persone si stanno dirigendo ancora più a ovest.

Nel frattempo, sul versante yemenita del golfo di Aden continuano ad arrivare imbarcazioni di trafficanti con a bordo centinaia di persone di nazionalità somala ed etiopica in fuga da conflitti, persecuzioni e povertà. Lo scorso primo aprile, tre imbarcazioni con a bordo 310 persone si sono avvicinate alla costa dello Yemen. Per evitare di essere intercettati dalla guardia costiera, i trafficanti hanno costretto i passeggeri a gettarsi in acqua: sei persone sono annegate e sono state sepolte sulla spiaggia. Al momento l’UNHCR non è in grado di determinare se queste persone fossero in fuga dai recenti combattimenti, ma in seguito agli ultimi sviluppi è probabile che molte altre persone si avventureranno nella pericolosa traversata.

Nel corso del 2006, circa 26mila persone hanno affrontato il pericoloso viaggio dalla Somalia allo Yemen attraverso il golfo di Aden e, durante la traversata, almeno 330 di loro hanno perso la vita, mentre altri 300 sono dispersi e ormai ritenuti morti. Dall’inizio di quest’anno più di 5mila persone sono approdate sulle coste yemenite, almeno 170 sono morte e molti altri sono dispersi.


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