Devo confessare che mi ha molto amareggiato leggere sui giornali che alcuni presunti funzionari del Programma alimentare mondiale (Pam) avrebbero consegnato oltre la metà degli aiuti a contractor corrotti, miliziani islamici e impiegati dell’Onu in cambio di danaro. Un’accusa pesante nei confronti della benemerita organizzazione umanitaria dell’Onu, contenuta in un dossier riservato del Consiglio di sicurezza, da cui si evince una gestione poco trasparente degli aiuti destinati a sfamare la stremata popolazione civile somala. Se si considera che l’anno scorso il Pam ha stanziato per l’emergenza somala quasi mezzo miliardo di dollari (per l’esattezza 485 milioni), e che di questi soldi ben 200 milioni sarebbero finiti nelle tasche di tre affaristi locali senza che fossero indette gare d’appalto, ci si rende conto che la situazione rischia davvero d’essere insostenibile. E non è tutto: a loro volta, i businessman – sempre secondo il rapporto – rimetterebbero il 30 per cento del denaro nelle tasche degli impiegati del Pam; un altro 10 per cento sarebbe destinato ai trasportatori locali, mentre il 5-10% servirebbe per comprare le varie formazioni armate. Per carità, i vertici del Pam hanno subito replicato ribadendo la massima integrità dell’organizzazione, esprimendo peraltro la massima collaborazione nell’inchiesta che seguirà per accertare le responsabilità delle parti in causa. Detto questo, è importante ribadire che la povera gente deve essere comunque aiutata nonostante le possibili defiance del Pam. Anche se queste fossero accertate non debbono in alcun modo incidere sull’impegno della comunità internazionale in un Paese che, alla prova dei fatti, rappresenta la prima emergenza umanitaria su scala planetaria. Sarebbe però anche ora che il Consiglio di sicurezza uscisse dal letargo, rilanciando l’impegno delle Nazioni Unite nel processo di pacificazione. In effetti, lo stesso inviato speciale dell’Onu Ahmedou Ould-Abdallah è apparso in più di una circostanza titubante sulla strategia politica da adottare in Somalia. Se non si avrà il coraggio di promuovere la via di cui la diplomazia italiana s’è fatta promotrice in questi anni, all’insegna del negoziato, fenomeni come la corruzione verranno acuiti a dismisura. Mai come oggi è necessario tornare a discutere i termini per un cessate il fuoco che garantisca incolumità ai civili e la sicurezza dei corridoi per gli aiuti umanitari. Prima che sia troppo tardi.
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