Mondo

Somalia, la piccola pace

E' uno dei Paesi più travagliati della Terra. Ora le 41 fazioni si sono messe d’accordo per un governo provvisorio. Intervista a Mario Raffaelli.

di Emanuela Citterio

La notizia dell?accordo di pace sulla Somalia è passata quasi sotto silenzio. Pochi e scarni i riferimenti sui quotidiani, dopo i lanci di agenzia del 29 gennaio. Eppure a Nairobi ben 41 leader di altrettante fazioni (tutte le parti interessate tranne il territorio dichiaratosi autonomo del Somaliland) hanno approvato la nascita di una nuova Somalia federale, dopo 13 anni di caos e anarchia.
Qualcosa sta veramente cambiando? Difficile dirlo. Al posto della Somalia c?è come la tela di un ragno. Troppo complesso e delicato districarla. Difficile muoversi senza rimanerne impigliati. È sempre stato così. Soprattutto dal 91, da quando la Somalia non esiste più: niente governo, legge, sicurezza da nessuna parte. A tessere la tela del potere, insensata e caotica, i signori della guerra. Troppi i traffici di armi. Troppe le complicità. Le fazioni attualmente impegnate a distruggere e ritessere equilibri sono più di 40. Come non rimanere impigliati? È stato così anche il 29 gennaio per Ralph Heinrich, operatore tedesco delle Nazioni Unite. Sequestrato nella città di Chisimaio, è sparito in uno dei territori dichiaratosi autonomi: la Somalia sud occidentale.
Qualche ora dopo, a Nairobi, è stato firmato il trattato che dovrebbe avviare la Somalia verso la pace. Una svolta quasi insperata. Alla quale l?Italia, insieme alla Svezia tra i Paesi europei, ha dato un forte contributo partecipando alle fasi cruciali delle trattative e, da agosto 2003, anche attraverso l?inviato speciale per la Somalia, Mario Raffaelli.
Cinquantotto anni, ex sottosegretario agli Esteri e profondo conoscitore della questione somala, Raffaelli aveva già partecipato a diverse attività di mediazione, tra cui quella che nel 92 ha portato alla pace in Mozambico.
Vita: Onorevole, la Somalia dopo l?11 settembre era nella lista nera di Bush. Ce lo dica lei: c?è stata una svolta?
Mario Raffaelli: Alle trattative hanno partecipato tutti i leader somali. Non era mai successo. Per la prima volta la base di consenso è abbastanza ampia da consentire la creazione di un?assemblea rappresentativa, che a sua volta potrà nominare un presidente e poi un governo provvisorio. Certamente è una svolta.
Vita: Questa è la quindicesima Conferenza per la pace…
Raffaelli: È vero. Ma c?è stata una pressione maggiore da parte della comunità internazionale. L?accordo rappresenta, tranne il Somaliland, tutte le aree principali in cui attualmente si divide il Paese: la regione indipendente del Puntland, quella sudoccidentale di Chisimaio, l?area di Mogadiscio controllata da tre diversi gruppi armati. Ma le fazioni che si combattono sul suolo somalo sono molte di più.
Vita: Hanno partecipato anche i signori della guerra?
Raffaelli: Certamente. È evidente come questo rappresenti uno dei problemi. Alla conferenza di pace c?erano rappresentanti dei mondi più vari: dai gruppi clanici, alla società civile, a vecchi spezzoni della politica, ai rappresentanti della diaspora. L?equilibrio, ovviamente, è delicato. Ma in una situazione anomala come questa, non si è potuto far altro che ottemperare i ?pesi in campo? e arrivare a un primo compromesso. Nel parlamento provvisorio le quattro principali aree d?influenza avranno 61 rappresentanti ciascuna, e le fazioni minori altri 41 seggi.
Vita: Quanto ha contato l?11 settembre?
Raffaelli: L?intervento degli Usa in Africa dopo l?11 settembre ha riguardato soprattutto il Sudan. Ma di certo il pericolo terrorismo ha determinato un maggiore impegno da parte della comunità internazionale.
Vita: Cosa cambierà ora?
Raffaelli: L?obiettivo è il sistema federale. Ma sarà necessario un forte sostegno da parte della comunità internazionale. Il governo provvisorio resterà in carica per cinque anni e in questo arco di tempo verrà stesa una nuova costituzione. Ci saranno due grossi problemi da affrontare: la smobilitazione delle milizie e la loro integrazione in un unico esercito, e la ricostruzione istituzionale. E deve entare in gioco anche la società civile somala. Oggi in Somalia ha la parola solo chi ha il controllo del territorio con le armi.
Vita: È stata anche annunciata ?una fattiva presenza? dell?Italia nella fase successiva. In che termini?
Raffaelli: Sì, ora la Somalia avrà bisogno di supporto tecnico e finanziario per arrivare al referendum democratico. Ma c?è anche un quadro regionale da tener presente: l?Etiopia, l?Egitto, Gibuti e lo stesso Kenya hanno interessi contrastanti rispetto a quelli della Somalia. Per questo è importante sostenere l?Igad come struttura di cooperazione africana. Nei prossimi mesi anche Unione africana e Unione europea sosterranno il processo di transizione.

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