Non profit

Solo una non profit su 3 misura il proprio impatto sociale

In UK ben il 70% delle charity misura regolarmente l’impatto delle proprie attività. In Italia è ancora debole la pressione da parte di donatori istituzionali e finanziatori pubblici e privati. A rilevarlo la ricerca di Fondazione Sodalitas “Come le organizzazioni Nonprofit valutano l’impatto delle proprie attività”

di Redazione

Un terzo delle organizzazioni non profit tra le più aperte all’innovazione valuta regolarmente l’impatto prodotto dalle proprie attività. Lo fa per migliorare l’efficacia dei servizi forniti, ampliare la propria visione strategica, e comunicare agli stakeholder il valore sociale prodotto. La valutazione dell’impatto è più frequente, regolare ed efficace quando la responsabilità di gestire il processo è chiaramente assegnata all’interno dell’organizzazione. Le mancanze di fondi, strumenti e competenze rappresentano gli ostacoli principali alla diffusione delle pratiche di valutazione in Italia. Insieme alla domanda ancora troppo debole che arriva da donatori istituzionali e finanziatori pubblici, timidi nel chiedere al Nonprofit di dare conto dei cambiamenti effettivamente prodotti nella vita delle persone e delle comunità.

Questo, in sintesi, è quanto emerge dalla Ricerca “Come le organizzazioni Nonprofit valutano l’impatto delle proprie attività”, che Fondazione Sodalitas ha condotto con IRS-Istituto di Ricerca Sociale su un campione di 184 organizzazioni non profit.

Il Nonprofit è tra i pochi settori che sono cresciuti negli ultimi anni.
Oggi il Terzo settore genera un valore economico pari a 64 miliardi di Euro, dà lavoro a 680.000 persone (Censimento sulle Istituzioni Nonprofit, ISTAT) e continua a meritare la fiducia da parte dei cittadini-donatori nonostante la crisi: secondo l’Istituto Italiano della Donazione, nel 2013 il 47% delle organizzazioni nonprofit ha potuto contare sullo stesso volume di entrate dell’anno precedente, mentre il 27% le ha viste addirittura crescere. Ma la necessità di generare innovazione sociale per costruire un nuovo Welfare, e ridurre aree di esclusione e discriminazione che rischiano di diventare strutturali, richiede al Nonprofit di migliorare costantemente la qualità e l’efficacia dei servizi offerti.
«Misurare l’impatto sociale delle proprie attività è un paradigma irrinunciabile per dare conto dei cambiamenti effettivamente prodotti nella vita delle persone e delle comunità», ha dichiarato Maria Teresa Scherillo, Consigliere d’Indirizzo di Fondazione Sodalitas. «Anche il Nonprofit italiano può farlo, per diventare più consapevole del proprio ruolo e ottenere un riconoscimento più forte del proprio valore».

In Italia, solo un’organizzazione nonprofit su tre misura l’impatto sociale della propria attività.
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In UK, misurare l’impatto sociale è diventato una prassi abituale per il 70% delle charity», ha sottolineato Tris Lumley, Director of Development di New Philantropy Capital. «Imprese, fondazioni e committenti hanno radicato l’impatto sociale nei loro processi, sviluppando modi di operare appropriati e congruenti». Nel nostro Paese è ancora debole la pressione con cui donatori istituzionali e finanziatori pubblici e privati chiedono al Terzo settore di dare conto degli impatti prodotti. Ma, al tempo stesso, l’Impact Investment si sta affermando come la frontiera a cui guardare, anche sulla spinta della “Social Impact Investment Task Force”.
Misurare l’impatto sociale è un passo fondamentale per conquistare l’int eresse di investitori motivati a finanziare progetti di sviluppo, innovazione e inclusione sociale che generino un cambiamento tangibile.

Ci sono alcuni ostacoli e pregiudizi che il Nonprofit deve superare per raccogliere la sfida dell’Impatto sociale: la mancanza delle competenze necessarie, la sensazione che misurare l’impatto sottragga risorse allo sviluppo dei servizi, il timore che si tratti di un processo troppo complesso.
Fondazione Sodalitas promuove l'iniziativa multistakeholder FATTI&EFFETTI per sviluppare anche in Italia la cultura e la pratica della valutazione e della misura dell’impatto sociale. E mettere a punto insieme al Nonprofit gli strumenti, le risorse e le competenze che servono.

I risultati della Ricerca italiana “Come le organizzazioni Nonprofit valutano l’impatto delle proprie attività”
Il campione

Nel luglio 2014 Fondazione Sodalitas e IRS hanno realizzato una ricerca per indagare la diffusione della pratica della misurazione dell'impatto presso le Organizzazioni Nonprofit italiane.
Il questionario on line elaborato a questo scopo è stato compilato da 184 tra Fondazioni (17%), Associazioni (45%) e Cooperative (30,8%). Realtà, queste, con meno di 20 collaboratori nel 56% dei casi, con entrate inferiori al milione di euro (50%), con alle spalle una media di almeno 20 anni di attività, con un raggio di azione prevalentemente regionale o provinciale (62%) e titolari di attività e servizi rivolti soprattutto a persone con disabilità (41%), al mondo dell'infanzia (38%) e ai giovani (31%).

Risorse e valutazione
Le Organizzazioni partecipanti alla rilevazione vedono sostenuta la propria attività e i propri servizi in prevalenza da convenzioni stipulate con Istituzioni e/o enti pubblici nazionali ed internazionali (49,5%), nonché da donazioni individuali (35,9%) e dai contributi degli aderenti (28,3%).
Il 32% delle ONP valuta regolarmente sia outcome che impatti delle proprie attività; il 31,5% valuta prevalentemente gli output, mentre l'8,7% realizza questo tipo di misurazioni sporadicamente.
Ciò che risulta – nello specifico – più sistematicamente oggetto di misurazione sono gli aspetti di gestione dei progetti e le domande e i bisogni dei beneficiari; vengono invece valutati solo occasionalmente la qualità dei propri servizi, i risultati per gli utenti e l'impatto generale delle proprie attività. Per fare ciò, il 30,1% delle ONP realizza analisi pre e post intervento.

Valutare e misurare: chi, per chi, perché
In un terzo dei casi la responsabilità delle attività di misurazione è assegnata ad un referente interno, impiegato soprattutto nelle aree direzionale (53%), della qualità (34%) o amministrativa (12%). Comunque, indipendentemente dalla funzione di appartenenza, quando c'è un referente interno la valutazione dell'impatto risulta più frequente (92,8% contro 88,7%) e più regolare (54% contro 40%).

Oggi chi valuta l'impatto sociale delle proprie attività lo fa soprattutto per migliorarsi (75%) e per essere più competitivo (46%). Bassa risulta invece la percentuale di chi realizza questo tipo di misurazioni per rispondere ad una specifica richiesta degli enti finanziatori (19%; in UK il 52%).
Chi ha valutato, comunque, ritiene in buona sostanza che questa attività sia stata utile soprattutto per migliorare i servizi offerti (46%) e la visione strategica dell'Organizzazione (35%), oltre che per dimostrare il valore generato dalle attività svolte (28,8%) e migliorare l'allocazione di risorse e spese (28,2%). C'è anche chi, però, non ha riscontrato benefici particolari (14%).
Valutare, in ogni caso, pur essendo ormai considerata un'attiv ità importante, continua a risultare impegnativa soprattutto per mancanza di fondi (45,8%), per mancanza di competenze (37,3%) e per mancanza di strumenti (29%), oltre che per il fatto che non di rado è difficile individuare il “cosa misurare” (31,3%).


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