Salute
Solo il 9% di falsi-malati, l’Inps taglia le visite fiscali
I dati smentiscono un luogo comune italiano. Quest'anno le verifiche saranno quasi azzerate: dalle 900mila del 2012 a 100mila. La riduzione anche per la spending review
di Redazione
Per molti, una seccatura in meno. Non dover dimostrare al medico, termometro alla mano, di stare davvero male. Per alcuni, assenteisti occasionali o recidivi, forse una possibilità in più di farla franca. Quest'anno le visite fiscali dell'Inps saranno quasi azzerate: dalle 900mila del 2012 a circa 100mila. Così, a meno di richiesta – e relativo esborso – da parte dell'azienda, ci si fiderà dei certificati medici forniti dai lavoratori assenti o dai loro medici di base. Effetto della legge di stabilità, che ha imposto all'Istituto di ridurre le spese. Dietro alla decisione di tagliare proprio lì, però, c'è anche lo scarso successo dei controlli: "Le visite disposte d'ufficio – spiega il direttore generale Inps Mauro Nori – hanno portato alla riduzione della prognosi nel 9% dei casi". Esito quasi doppio di quelle chieste dalle aziende, ma non sufficiente a giustificare un conto da 50 milioni di euro.
Specie al Nord, dove il periodo di malattia viene accorciato in media meno di tre volte su cento. Al Sud l'incidenza sale: 16,7% in Sicilia, 18,4% in Campania, addirittura 39,9% in Calabria. Nel complesso però "correzioni" contenute, in un Paese che a rileggere qualche affondo di Sergio Marchionne o Emma Marcegaglia pare popolato di malati immaginari. I dati dell'Inps sembrano invece confermare quanto emerso da uno studio del 2010 di due economisti del Fondo monetario, uno dei pochi a proporre comparazioni tra Paesi. Mostra che i dipendenti giustificati per malattia
in Italia, tra il 2000 e il 2008, sono stati l'1,6% del totale nel privato e il 2% nel pubblico. Meno della media europea, sotto perfino alla rigorosa Germania "dove la gente lavora", come disse lo scorso dicembre a Ballarò l'allora sottosegretario Gianfranco Polillo.
"Il dato italiano è basso – conferma il giuslavorista Michele Tiraboschi – ma qui si aggiunge un gran numero di altre assenze, congedi parentali e permessi di vario tipo, che fa gioco ai meno onesti". Il Centro studi di Confindustria ha provato a mettere insieme tutti questi esoneri: nel 2011 le ore saltate rispetto a quelle lavorabili, sono state il 7,3%, di più tra le donne (11%) in virtù delle maternità. Sul totale, le malattie incidono meno della metà. "Il modello repressivo, controlli e sanzioni, è poco efficace perché il grosso delle irregolarità si ha sugli stop sotto i tre giorni, difficili da verificare", continua Tiraboschi. "Meglio un sistema contrattuale che premi la presenza sul lavoro e disincentivi le assenze". Come l'ultimo accordo nazionale del commercio, che prevede una retribuzione a scendere dalla terza malattia "breve" dell'anno, e la azzera dalla quinta. L'Inps intanto assicura che, grazie a un sistema informatico capace di incrociare i dati, le visite, per quanto meno frequenti, saranno più efficaci.
Nel settore pubblico la "cura Brunetta" ha agito sia inasprendo i controlli che penalizzando economicamente le assenze. Dopo uno shock iniziale però, il suo effetto sembra essersi fermato. I giorni persi ogni mese per malattia dai dipendenti sono scesi dagli 1,32 di ottobre 2007 agli 0,91 di ottobre 2010, ma da allora a ottobre 2012, ultimo dato disponibile, sono rimasti costanti. Il monitoraggio del ministero include solo metà delle amministrazioni italiane e non le scuole pubbliche, che spesso non hanno fondi per pagare all'Inps le visite di controllo. L'ultimo Conto annuale dello Stato, anno 2011, parla di 6,69 giorni di assenze malattia per gli uomini e 8,89 per donne. Ma sommando tutti gli altri congedi e permessi retribuiti si arriva a 12 e 21 giorni, con punte di 25 tra gli stessi dipendenti dei ministeri. Il gap con il settore privato, insomma, c'è ancora.
da Corriere della Sera di Filippo Santelli
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