Non profit

Solo il 15% degli italiani fa testamento. Ma crescono coloro che scelgono una onp. Perché vogliono «mettere un piede nel futuro»

di Maurizio Regosa

Parliamo di soldi e di morte. Argomenti difficili, tabù, che però bisogna affrontare. Magari pensando che sì, il mondo andrà avanti senza di noi, ma che quel che gli lasceremo, anche in termini di risorse, potrà fare la differenza. Magari concorrere alla realizzazione di azioni e progetti di solidarietà. Ma perché ciò accada è necessario esprimere per iscritto le proprie ultime volontà, fare testamento. Un gesto che agli italiani viene poco spontaneo: solo poco più del 15% si premura di affidare le sue scelte a un documento olografo o a un notaio. Di fatto, l’85% degli italiani rinuncia a dire la sua sul rapporto fra i propri beni e il mondo che verrà, lasciandone la gestione all’altrui discrezionalità, e alle norme di legge. Eppure non parliamo di pochi spiccioli.
Secondo una ricerca sul tema, curata per ondazione Cariplo da Gian Paolo Barbetta, economista della Cattolica, «il valore economico dei patrimoni potenzialmente oggetto di lasciti a istituzioni di beneficenza nel periodo 2004-2020 si può stimare in circa 105 miliardi». Risorse che potrebbero dare un grande aiuto alle non profit, sostenerne sul lungo periodo l’attività e l’intraprendenza. «Per molto tempo il Paese ha ritenuto che fare testamento non servisse», premette Federico Tedeschi Porceddu, del Consiglio nazionale del notariato, «che fosse solo per i più abbienti. Adesso si sta facendo strada la convinzione che è uno strumento per risparmiare denaro e mettere un piede nel futuro. La nostra impressione è che stia aumentando il numero di quanti fanno testamento con questo tipo di consapevolezza».

Chi sa come si fa?
Sul fronte della consapevolezza, sono tutto sommato poche le non profit che fanno campagne lasciti o informano puntualmente i potenziali donatori. Pudore? Imbarazzo? Probabilmente sì. «In realtà le resistenze vere sono culturali, non emotive», avverte Federica De Benedittis, fondatrice della Scuola di fundraising di Roma, «i donatori percepiscono già il lascito come un’opportunità». Hanno cioè uno sguardo laico sulla propria fine: sanno che avverrà e capiscono che è meglio fare alcune scelte prima.
In tal senso un orientamento è più che opportuno. «Tant’è che quando lo si fa», aggiunge De Benedittis, «arrivano risposte positive. Le persone chiedono, vogliono sapere». Certo, ammette, «occorre tatto, non si deve essere invadenti, ma non c’è dubbio che le organizzazioni che scelgono questa strada, anche tramite una generica newsletter o spazi dedicati sui siti internet, facciano un servizio molto utile».
Insomma, c’è bisogno di creare una cultura del lascito testamentario e di promuoverla presso il donatore come presso il non profit. «Il primo deve sapere che può sottoporre a vincolo le sue volontà adottando diversi accorgimenti», prosegue il notaio, «può ad esempio incaricare un esecutore testamentario perché verifichi se sono rispettate le condizioni che ha stabilito per la donazione». Dal canto loro «le organizzazioni», sottolinea la fundraiser, «devono capire che per essere beneficiarie di lasciti non è necessario essere molto conosciute o essere molto grandi, ma che vengono premiate affidabilità, trasparenza e solidi progetti di lungo periodo».
«È importante far conoscere ai potenziali donatori la possibilità di destinare risorse a progetti sensati e condivisi», ammette Barbetta. Non è detto però che siano sufficienti le iniziative sul territorio che alcune realtà di terzo settore organizzano da qualche anno in collaborazione con i notai (sono stati 31 gli appuntamenti cui rappresentanti del Notariato hanno partecipato nel 2011). «Sempre più spesso mi capita di intervenire a incontri con possibili donatori realizzati presso le non profit», testimonia Tedeschi Porceddu, «per spiegare perché e come fare testamento, dando anche suggerimenti di base come ad esempio che l’associazione beneficiaria sia nominata in modo completo, che ci sia la data completa…».
Come scegliere la non profit
Avere una più solida e diffusa cultura del lascito, disporre del maggior numero di informazioni possibili: sono a dire di tutti gli esperti condizioni necessarie ma forse non sufficienti perché si scelga come beneficiario il non profit. Per questo, bisogna entrare nel merito. Guardare dentro le organizzazioni, valutarle, sceglierle. «È un compito a suo modo costoso», premette Barbetta, «la selezione può comportare un lungo periodo e presentare parecchie difficoltà». «In questo senso avere a disposizione strumenti terzi, come per esempio le fondazioni di comunità, capaci di individuare le realtà

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