Cultura

Solitudini di metropoli

Un film geometrico, molto pensato ma non freddo, in cui la solitudine del singolo e della città si rispecchiano e rilanciano. Una Milano che è anch’essa come un’ombra

di Maurizio Regosa

Nel secolo scorso ci pensò la nouvelle vague a raccontare per immagini il legame fra l?ambiente e chi lo abita. Non casualmente quei cineasti – Godard, Varda – scelsero personaggi femminili. Più ricettive degli uomini, le donne parevano più adatte a esprimere una relazione per taluni ovvia. Cosa c?è di più banale che attraversare la propria città? Nel secolo scorso ci pensò la nouvelle vague a raccontare per immagini il legame fra l?ambiente e chi lo abita. Non casualmente quei cineasti – Godard, Varda – scelsero personaggi femminili. Più ricettive degli uomini, le donne parevano più adatte a esprimere una relazione per taluni ovvia. Cosa c?è di più banale che attraversare la propria città? E il paradigma era appunto la passeggiata, occasione ottima per mostrare l?indifferenza dell?io nei confronti di un luogo collettivo ma non anonimo (la città che attraverso i suoi codici e i suoi segni poteva parlare, e fin troppo, se solo la si stava a sentire).

A questo filone, a metà fra il narrativo e il documentaristico, e alle esplorazioni metropolitane di Antonioni sembra ricollegarsi la brava Marina Spada nel suo secondo film, Come l?ombra, racconto per frammenti della scoperta del disagio da parte di Claudia. Che non è nemmeno all?inizio smemorata di sé, è solo persuasa che l?attesa alla fine sarà premiata. Fa le sue esperienze, i suoi tentativi, conduce come si suol dire la sua vita. Bastano alcuni imprevisti (l?apparizione di un ucraino, quella di una sua sedicente parente, la loro scomparsa) per smontare le sue fragili certezze. Se si ha poco e vien meno anche quel poco, la crisi è inevitabile.

Ma l?intreccio (peraltro sostenuto da forti ellissi) serve solo da alibi narrativo: dà forza a un accumularsi di sensazioni e sentimenti che si intrecciano nel rapporto con un altro personaggio senza voce, la città di Milano. Da parte dello spettatore, la consapevolezza è crescente: all?inizio si chiede il perché di quei fuori campo (Claudia e la sua famiglia si mettono a tavola, «è pronto», e la macchina da presa si sposta all?esterno, mostrando una metropoli ferma, immobile), poi gradualmente comprende che la solitudine della donna non è slegata da Milano. Non in quanto tale, ma come agglomerato di singoli destini, città che, come tante, oggi ha smesso di parlare. è indifferente, priva di segni. Ve le ricordate le scritte sui muri di Godard? Attivavano un dialogo enigmatico e sfuggente, ma pur sempre un dialogo. Nel film della Spada quei dialoghi con il passante si riducono all?insegna di un supermercato (ed è superfluo citare Augé). Si spiegano così gli esterni anonimi, l?assenza di ogni possibile topologia, l?impossibilità di riconoscere i luoghi: quel che resta, di una comunità che ha perso l?anima, sono le architetture globalizzate, le periferie sempre uguali, i giardini abitati solo da migranti. Una città che come Claudia è diventata un?ombra, appunto.


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