Mario Tuti, in carcere da 25 anni, che avevamo interpellato per le sue qualità di poeta e scrittore invitandolo a stendere un racconto sulla carità e sulla solidarietà, ci ha scritto questa bella e sofferta lettera che offre più di un motivo di riflessione. La proponiamo a tutti i nostri lettori.
La vostra proposta di provare a scrivere qualcosa sulla carità e la solidarietà in carcere è arrivata proprio in questi giorni di rimpianto e amare considerazioni su una solidarietà così difficile qui. Forse impossibile. Come una condanna aggiunta al carcere e alla pena, una condanna all?inutilità e allo spreco.
Sei mesi fa, infatti, la direzione del carcere mi aveva inaspettatamente proposto di cercarmi un lavoro all?esterno, per uscire con l?art. 21. Potete ben immaginare la sorpresa e l?entusiasmo di fronte a una simile prospettiva, i commenti con i compagni della sezione speciale, gli auguri, le speranze, i progetti. Ma anche, poi, la riflessione su cosa fare, la difficoltà di immaginarmi una vita fuori, il ritorno a un mondo che non è più il mio, dopo quasi 25 anni di segregazione e isolamento. E la decisione allora di cercare d?impegnarmi nel campo del volontariato e dell?assistenza: per dare un senso a questa opportunità, e tentare magari di rimediare alle mie tante inadempienze nei confronti dei genitori, dei figli, della stessa collettività. Con la direzione disposta a sostenere questa mia scelta, accettando di farmi uscire anche nel caso di un lavoro non retribuito.
Ho così cominciato a scrivere un po? a tutte le persone che ho conosciuto in questi anni nel segno della solidarietà, della fede, del volontariato, e poi anche a qualche ente e associazione della zona, spiegando le mie intenzioni e chiedendo se potevano darmi una mano. Qualcuno ha risposto con una generica disponibilità, senza poi più farsi sentire, qualcun altro non ha nemmeno risposto, e c?è stato anche chi mi ha detto che erano già assillati dalle domande degli obiettori di coscienza e che non gli facessi perdere tempo…
E se avevo messo in conto che a qualcuno avrebbe forse potuto creare dei problemi il mio nome e il mio passato, ed ero pronto ad accettare serenamente un?obiezione e anche un rifiuto, francamente non mi aspettavo che le uniche risposte alla mia richiesta sarebbero state il silenzio, il fastidio, il disinteresse. – o la pretesa di professioni di fede: una fede da assumere su prescrizione, come una pillola, una purga per mettersi a posto gli intestini e la coscienza…
Una solidarietà e una carità negate, anche a me, anche per me…. Fuori. Che forse mi ero abituato male in questi anni di cattività, tra i cattivi che per darti una mano non ti chiedono chi sei e perché sei qui, di che fede seri e se sei colpevole o innocente: gli basta un po? di umanità… Tra i condannati, almeno la pretesa della bontà ci è condonata.
Gratuitamente, perdono: un perdono, quello vero, che nasce dall?umana simpatia e dall?oscura consapevolezza che anche Cristo, se c?è, è venuto per tutti. Specie per i colpevoli e i cattivi!
Per questo fa bene al cuore – e può forse insegnare qualcosa – la vostra decisione di pubblicare articoli e testimonianze sulla solidarietà e la carità comunque possibili. Anche qui. Anzi, proprio qui. Quella solidarietà nella pena e nel dolore che resta anche quando tutto il resto è ormai perduto. E che può ancora tutto salvare. Questa solidarietà che è forse l?unico valore positivo del carcere, e che non può essere negato né dalle pretese rieducative del regolamento – capaci solo di tradire una nostalgia di emergenze e ancora più inquietanti normalizzazioni – né da quel buonismo autoritario e distante di chi ha comunque bisogno di sentirsi di più, e migliore.
Cristo ci scampi allora da questo perbenistico intruglio di pretesi valori cristiani e laici, col mito del buon volontario, tra umanitarismo e sociologismo d?accatto, carte bollate e banalità predicate da tutti i pulpiti televisivi… Questi professionisti del bene, con le loro buone intenzioni a costruire i nostri infermi quotidiani. Inferni molto comodi e asettici, politicamente corretti, dove si può avere tutto, meno che l?essenziale!
Come per me, come ora, che per provare comunque a uscire, dopo sei mesi di attese e di speranze deluse col volontariato, mi sono risolto a fare le pratiche per il dottorato di ricerca e ho presentato una lettera d?assunzione come addetto al marketing per una società della zona. L?inferno dello spreco e dell?assurdo, della vanità e del nulla: a chiedermi il senso, per me, ora, della biologia molecolare o di mostre e cataloghi multimediali… Non lo sguardo innocente di un bimbo, il gesto tremante di un vecchio, o lo stupore di chi con la mente ha seguito altri percorsi. Una solidarietà difficile, faticosa, certo, ma anche un incontro, un dialogo, il rischio e l?evento che può ancora dare un senso e un valore a quello che resta. Ma ora non mi resta altro che provare a destinare loro una parte del mio stipendio, e che certo nessuna associazione rifiuterà. Non lo rifiuteranno amministratori, educatori, moralisti in affari e in carriera, con la loro bontà comoda e sciatta, e con tanto di autorizzazione statale. E cosa resterà per i più poveri, i bisognosi, i reietti..? Forse questa lettera, la testimonianza e l?accusa…
Quanto a me, lo sprezzo del posto fisso e prestigioso potrà anche essere inteso come un?irriducibilità estrema alla rieducazione e al reinserimento. Ma chi se ne frega!
Rimarrò tra i cattivi, i condannati, i colpevoli: ma dove si sa ancora cos?è la solidarietà e la carità. E si fa, così, senza movente.
Mario Tuti
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