Non profit

Solidarietà, una parola data troppo per scontata

Una riflessione senza sconti nell'ultimo libro di Franco Riva

di Maurizio Regosa

«Viviamo in un contesto
in cui il suo valore non è messo in discussione
a parole ma nei fatti, nelle scelte concrete». Così, il vero significato della parola si perde. Per recuperarlo occorre una reale apertura all’altro. Anche nel modo
di costruire le nostre città
«Nel corteo delle parole, la parola “sobborgo” figura vestita di stracci, macchiata d’unto e segnata in volto dal marchio del pezzente che dorme negli androni delle case». Al solito visionario, Luis Buñuel, ma efficace. Ve la figurate? Una lunga marcia di vocaboli che – mostrandosi come in processione – esprimono la loro stessa essenza. Che è poi quella che riconosciamo loro. Una suggestione che in qualche modo è alla base anche di un recente volume, curato da Franco Riva, professore di Etica sociale in Cattolica, e intitolato Ripensare la solidarietà. «La parola solidarietà vive una stagione di indubbio successo, a cui contribuiscono l’universo della comunicazione e la nuova interdipendenza globale», scrive proprio nell’incipit Riva. E ancora: «Nel successo della sua parola, la solidarietà rischia di ritrovarsi vittima di una curvatura emotiva e individualistica. L’allargamento su scala globale della solidarietà non corrisponde per forza di cose a un mondo di persone più solidali».
Una sorta di cortocircuito sul quale occorre riflettere, giacché come dice a Vita lo stesso Riva, «ci troviamo di fronte a molte scelte. E il primo bivio è quello tra una solidarietà che esprime apertura – ed è un bene – ma che nei fatti è ripiegata su se stessa e una diversa concezione di solidarietà che prende in mano la propria anima, si rivela un fondamentale dell’umano, e in tal senso deve superare l’emergenza». Anche da qui la necessità di ripensare questo concetto e di rielaborarlo, ritrovando il senso problematico di nessi ormai dilavati da una comunicazione corriva (da cui sovente discendono fraintendimenti e strumentalizzazioni di vario genere). Il rapporto fra solidarietà e globalizzazione, fra gratuità ed economia, oppure quello con il dono, con il sacrificio, con la responsabilità, con il riconoscersi nel destino altrui in maniera non intermittente né semplicemente emozionale.
«La forma di solidarietà che mi pare si debba auspicare è quella che si rivolge all’altro in quanto altro». E quindi è rispettosa, capace – per dir così – di uscire da sé e guardare al prossimo in quanto diverso. Un percorso, quello condotto da Riva e dagli altri autori del volume (fra loro, Johnny Dotti, presidente di Welfare Italia, che sviluppa un ragionamento su Pensare e agire un altro welfare), particolarmente interessante e attuale. Perché non poche sono le tentazioni che vanno in senso contrario. «Rigurgiti antisolidali» li definisce il curatore che spiega: «Ci si deve preoccupare non tanto del fatto che emergono, quanto del fatto che emergono in un contesto in cui il valore della solidarietà non è messo in discussione a parole ma nei fatti, nelle scelte concrete».
Andare oltre la retorica solidaristica conduce anche a superare le logiche dell’emergenza, le emozioni del dramma. Può spingere ad esempio a ri-analizzare la comunità, il nostro modo di viverla e intenderla («il pensiero solidaristico non deve essere inglobante»). A superare la pratica linguistico-mediatica cui siamo abituati che troppo spesso insiste sull’episodicità, sull’emergenza, «sull’attimo» (e l’esempio, calzante, è quello relativo allo tsunami). La solidarietà invece va vista come un elemento strutturale, come un passaggio essenziale per l’identificazione di ciò che è umano, nei suoi risvolti anche imprevisti ma assai tangibili: «La solidarietà è una città. Accanto ai suoi aspetti esistenziali e comuni, politici ed economici, la solidarietà richiede subito un volto urbanistico ed architettonico. La solidarietà costringe a pensare all’umanità dei luoghi comuni dell’umano».


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