Cultura
Solidarietà e jihad. Difficile distinguere
Marco Lombardi, docente alla Cattolica di Milano, ha scoperto sul web i link che portano ai kamikaze. «Ma non si interviene per non perdere i soldi sauditi»
«La solidarietà e il terrorismo sono due facce inscindibili di Hamas». Marco
Lombardi, docente di Sociologia all?università Cattolica di Milano, non ha dubbi. Il meccanismo di cui parla l?ha studiato a lungo su Internet. Ricostruendo, link dopo link, la rotta del fund raising dell?organizzazione che oggi siede al governo nei Territori palestinesi. Rotta che inizia in paesi diversi – principalmente Regno Unito e Francia – e che finisce quasi sempre nello stesso posto: «Le case dei kamikaze che si sono sacrificati per l?Islam».
Vita:Quella di Hamas è una raccolta fondi dichiaratamente pro terrorismo?
Marco Lombardi:No. Ma neppure dichiaratamente anti terrorismo. Sono i portali delle charity legate ad Hamas a rivelarlo: attraverso le loro home page in lingua inglese, neutre e di facciata, si accede a pagine web con un maggiore uso della lingua araba e contenuti legati alla causa di Hamas. Più si va avanti ad esplorare questi link nel cyberspazio, più vicino si arriva alla Jihad.
Vita: Cosa si trova, esattamente? Lombardi: Intanto la spiegazione di come solidarietà e attacchi terroristici, che a noi occidentali sembrano una contraddizione in termini, possano essere giustificati in base alla stessa mission: tutelare il popolo palestinese. In quest?ottica, la mancanza di cibo o di libertà, a causa di Israele e in seconda battuta degli Stati Uniti, hanno la stessa importanza. Per rispondere alla prima bastano aiuti alimentari, per liberare i palestinesi dalla mancanza di libertà, invece, serve il terrorismo. La logica è questa.
Vita: Sul web si trovano anche prove concrete dei fondi girati alle famiglie dei kamikaze?
Lombardi: Si trovano prove di come charity che, in tono cauto e moderato,
generalmente raccolgono fondi per la causa palestinese siano in realtà legate, e collegate, a enti non profit dichiaratamente a favore della Jihad. Mi riferisco, in particolare, a tre enti che raccolgono fondi in Occidente di cui oggi si conoscono i legami col terrorismo: l?Al-Aqsa International Foundation, il Cbsp – Comité de Bienfaisance et de Secours aux Palestiniens e Interpool.
Incrociando le prove trovate su Internet e le indagini dell?Fbi sullo sceicco Mohammed Ali Hassan al- Moayad, il responsabile yemenita di Al-Aqsa arrestato nel 2003 in Germania, si è scoperto di come Al- Aqsa abbia girato 70mila dollari di donazioni a Interpool con tanto di ricevuta che diceva «to get money to the Jihad».
Vita: Se è così semplice risalire al legame tra le charity che raccolgono fondi e il terrorismo, perché i governi non intervengono?
Lombardi:Dipende dalla logica politica dei vari governi. Quelli americani
da tempo hanno smesso di fermarsi all?home page delle charity islamiche che raccolgono fondi nel loro paese, e scavano nei siti. Francesi e inglesi, per opportunismo politico, sono più tolleranti. Nel Regno Unito s?è mossa la Charity
Commission che, periodicamente, chiude le non profit legate al terrorismo ma queste puntualmente si riformano. E, dal 2003, si sono fatte più attente anche Olanda e Svizzera.
Vita: E l?Italia?
Lombardi: Internet e i flussi di denaro non hanno reso necessario aprire degli enti di raccolta fondi anche da noi.
Vita: Si conoscono le banche da cui transitano i fondi al terrorismo?
Lombardi: Certamente. La maggior parte sono istituti di credito inglesi
con sede nella City. E non c?è da stupirsi: già negli anni 80 si stimava
che Hamas avesse un bilancio di circa 70 milioni di dollari.
Vita: Perché è tanto complicato bloccare questi flussi?
Lombardi: Per calcolo. Perché dietro ci sono una lunga serie di possibili
ricatti, a cominciare da un eventuale chiusura dei conti sauditi che bloccherebbe la Borsa americana.
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