Formazione
Solidarietà con leggerezza
Ultimate le riprese del film sceneggiato da Federico Starnone sulla base della sua esperienza di servizio civile e interpretato da Giovanna Mezzogiorno, attrice sulla cresta dell'onda
di Marco Piazza
Un giorno qualsiasi nella vita di un giovane laureato in cerca di lavoro. Ha fatto domanda per il servizio civile. Gli arriva la cartolina del distretto: deve presentarsi l?indomani, Destinazione: un?associazione di malati di distrofia muscolare. Così, per caso, quel ragazzo entra in contatto con un mondo sconosciuto che vive nella sua stessa citta. E impara ad apprezzare la diversità. A capire che nel mondo non basta essere belli e sani. Che chi vive in una sedia a rotelle e non può muovere neanche un dito può avere molta più energia di qualsiasi ?normodotato?.
È la trama del film ?Più leggero non basta?, che sarà proiettato in prima serata dalla Rai il 6 dicembre. Ed è anche il titolo di un libro, pubblicato da Feltrinelli, che Federico Starnone, giovane romano laureato in matematica, ha scritto dopo un anno di servizio civile in un?associazione di distrofici. Non è casuale che la pellicola venga mandata in onda nella prima settimana di dicembre, proprio a ridosso della maratona televisiva Telethon, che raccoglie fondi contro tutte le malattie genetiche, fra cui la distrofia muscolare. Il film è prodotto dalla Paso Doble, per la regia di Elisabetta Lodoli (?La Venere di Willendorf?) e la sceneggiatura di Sandro Petraglia, dello stesso Federico Starnone (che ha lavorato sul set come consulente esperto di distrofia) e di suo padre, lo scrittore Domenico Starnone. Nei panni di Elena, una ragazza distrofica, recita Giovanna Mezzogiorno (appena vista a Venezia come protagonista di ?Del perduto amore?, di Michele Placido) mentre Stefano Accorsi (in concorso a Venezia con ?Piccoli maestri?) è l?obiettore Marco. Il titolo ?Più leggero non basta? si ispira a un passo del libro, un dialogo tra i due amici. «Adesso che il servizio civile finisce ti togli un bel peso», sussurra Elena. «Guarda che tu non mi pesi», risponde Marco, «il fatto che tu sei tu… semmai mi ha reso il servizio più leggero». «Più leggero non basta», ribatte Elena, «possibile che non lo capisci? Io vorrei che tu lo facessi perché ti va, perché stiamo bene insieme, perché sei mio amico».
Ed è proprio l?amicizia che permette di superare ogni barriera, da quelle architettoniche a quelle fatte di pregiudizi e ignoranza, ben più difficili da rimuovere. Tanto che alla fine si rovescia il rapporto assistente-assistito e la ragazza distrofica guida l?obiettore alla scoperta di un mondo nuovo e affascinante. «È stata un?esperienza molto forte», racconta il protagonista Stefano Accorsi, «ho conosciuto ragazzi che non possono muoversi (alcuni distrofici hanno avuto piccole parti nei film, ndr), totalmente dipendenti dai loro assistenti. E ho scoperto che sono persone come le altre. Che lavorano, si innamorano, si arrabbiano, con i loro pregi e i loro difetti e con una peculiarità: un?energia al di fuori della norma».
Stefano Accorsi ha 27 anni e non ha fatto il servizio civile («mi hanno riformato»), ma si sente di spendere una parola a favore degli obiettori di coscienza e dell?importanza del loro lavoro: «Se questo film servisse per fare aumentare le domande di servizio civile sarei contentissimo». Elisabetta Lodoli racconta invece che quando le proposero la regia di questo film era propensa a non accettare: «Venivo da un altro film impegnato, ?La Venere di Willendorf?, che trattava in maniera molto drammatica il tema della bulimia. Poi, quando ho letto la sceneggiatura mi sono ricreduta. Perché l?approccio con la distrofia è leggero, poetico e a volte anche molto ironico».Una storia piacevole, quindi. E allo stesso tempo un contributo importante nella direzione dell?educazione alla diversità e alla solidarietà. Una vicenda nella quale si rivedranno molti obiettori e volontari. E che agli altri aprirà uno spiraglio su un mondo così diverso e così pieno di sorprese.
Nota a margine: l?ex obiettore Federico Starnone continua a cercare un posto come matematico e a lavorare in quell?associazione di distrofici.
L’opinione di Federico Starnone: Sì, voglio divertirmi…
Sono nato nel 1968. Dicono che fosse un periodo in cui la parola d?ordine era: cambiare. La gente voleva cambiare tutto: i valori etici, la società, il mondo. Dev?essere stato un bel periodo, perché ancora oggi, quando dico che sono del ?68, qualcuno mi dice: complimenti. Come se fosse merito mio. Mentre invece, proprio perché ci sono nato, quell?anno non l?ho vissuto e non m?ha segnato. In realtà, il problema di essere del ?68 è che nel ?98 uno compie trent?anni. Momento di passaggio, tempo di bilanci. L?occasione di domandarsi: cosa vuoi dalla vita? Me lo chiedo, infatti. E, prima di rispondermi, esito: cerco alti ideali, propositi cosmici, ma scopro subito che non mi stanno bene addosso. La verità, ammetto, è che se qualcuno mi chiede che cosa voglio dalla vita, malgrado io abbia trent?anni, rispondo subito: divertirmi. Risposta scema, mi dico, ma almeno è sincera. Poi me la ripeto, la riascolto con attenzione. Ci ripenso. In realtà, mi accorgo, non è una risposta così scema. Divertirsi etimologicamente significa divergere da sé, allontanarsi dal proprio standard. Ecco, questo è quello che mi interessa: essere ogni giorno diverso, crescere, imparare cose nuove. E per riuscirci devo vedere e fare cose che non ho mai visto e fatto prima, conoscere persone che mi stupiscano, che siano differenti da me. Perché come in fisica due oggetti si possono scambiare calore solo se sono a temperature diverse, allo stesso modo due individui si possono scambiare qualcosa solo se sono persone diverse. E del resto non è un caso che diversità e divertimento siano parole con la stessa radice.
Questo è il mio bilancio, constato soddisfatto. Poi ci ripenso un po?. Il valore della diversità. Vivere, cambiare. Tutto vero, sì. Certo, tutto vero, mi persuado. Ma ci ripenso ancora: cambiare. E, pensa e ripensa, a furia di rifletterci, ecco che adesso mi sorge un dubbio: non so come, di soppiatto, tra un biberon e un pannolino, in qualche modo misterioso forse il ?68 mi ha segnato.
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