La settimana scorsa ho partecipato ad Amman al Vertice Euromed dei Consigli economici e sociali e delle istituzioni analoghe della Regione, con rappresentanze di tutte e due le sponde del Mediterraneo. Una serie di vertici, preparati da un apposito comitato permanente del CESE, nato a seguito di uno specifico mandato previsto dalla Dichiarazione di Barcellona del 1995, ulteriormente esteso nel quadro della cosiddetta Unione per il Mediterraneo (UpM, fortemente voluta dal Presidente Sarkozy, ma di fatto del tutto bloccata al suo interno) ed ora in corso di forte ricentramento e ripensamento dopo il dipanarsi delle diverse “rivolte arabe” (c’è chi le chiama primavera araba, ma io preferisco continuare a chiamarle rivolte, i cui esiti rimangono del tutto incerti ed aperti, pur in presenza di grandi e positive novità).
Una tre giorni molto ricca, svoltosi nella apparente calma sempre uguale a se stessa di una delle più antiche e vitali città della regione, Amman con i suoi tre milioni di abitanti, vegliata ancora dal suo storico castello di epoca romana, a pochi passi dai rumori di una guerra civile senza fine, dimenticata dal mondo intero, ma che continua a mietere migliaia di vittime in Siria e provoca una crescente destabilizzazione in tutta la regione, e a pochi passi da un conflitto antico, quello tra Israele e la Palestina, che resta del tutto irrisolto.
Si sono discussi temi di grande interesse, tra i quali la questione della crescita di società del diritto basate sul rispetto dei diritti umani, sul ruolo della società civile nei nuovi processi di governance delle dinamiche politiche dell’area, sul dialogo sociale e sulla lotta alla corruzione come assi di una possibile politica di sviluppo per l’intera regione, sul ruolo della libertà dei media, sulla situazione delle donne, sulle politiche energetiche e sulle politiche industriali e di libera circolazione delle merci e delle persone nell’area. Insomma, temi certo non minori e per i quali, con mia grande soddisfazione, ho potuto verificare l’apertura e la libertà del confronto e del dibattito e anche la positività dell’impegno di molte istituzioni e organizzazioni della società civile dei diversi paesi, per fare concreti passi avanti su ciascuno dei temi in oggetto. In alcuni casi, come la libertà dei media o le libertà civile e sociali, ho avuto persino l’impressione che il dibattito fosse assai più aperto di quanto lo siano diverse società della regione e mi sono chiesto se i nostri amici e colleghi che parlavano così apertamente non avessero poi finito col rischiare qualcosa di serio, per la propria libertà e incolumità personale nel giorni seguenti. Una bella risposta che mi è stata data è che, almeno in alcuni paesi, è consentito essere molto liberi nella critica e nella formulazione di richieste di cambiamento, a parole. Ma continua a non essere consentito scriverne…. Ne tantomeno praticare ciò a cui tutti aspirano sempre più apertamente!
Traccia significativa di questa tre giorni di grande interesse si trova nella dichiarazione finale del Vertice, adottata nelle giornata di venerdi 19 ottobre e nella adozione di una Carta per la rete euromediterranea dei consigli economici e sociali, che pur se basata sull’adesione volontaria e con molti distinguo, contiene affermazioni di principio di grande valore, che testimoniano la complessità ma anche la positività di questo complesso e lungo lavoro di dialogo promosso dalle Istituzioni europee e dal CESE nella regione. (http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.fr.events-and-activities-euro-mediterranean-summit-2012)
A margine delle diverse riunioni ufficiali, ho potuto incontrare anche persone e interlocutori locali, con i quali avere uno scambio più informale, più discreto e a certi tratti più franco. Come sempre, incontri di grande arricchimento, che ben completano le discussioni delle riunioni ufficiali. Un esempio mi ha particolarmente colpito. La storia di un padre di famiglia, arabo palestinese, mussulmano, che è stato condannato dal tribunale di Amman nelle settimane precedenti, perché riconosciuto reo di aver ucciso la figlia. Una pena mite però, solo 4 anni, perché la legge locale concede di fatto delle attenuanti per ciò che finisce col richiamare il tristemente noto “delitto d’onore”. Infatti, agli occhi del padre, la figlia si era macchiata di un peccato mortale contro Dio e contro la comunità tutta, avendo scelto di farsi cristiana ortodossa, per seguire il proprio amore che apparteneva a questa confessione cristiana.
Il nodo della libertà religiosa resta a tutt’oggi una delle questioni meno discusse e meno trattate in pubblico, eppure continua ancora ad essere un dramma concreto e talora degenera anche in fatti di sangue come quello evocato. Così non ho potuto fare a meno di pensare che senza un vero passo avanti, in tutta la regione, sul tema della libertà religiosa, nel pieno e completo rispetto delle diverse tradizioni religiose e in particolare di quella che oggi è largamente maggioritaria nella regione e informa, a ragion veduta, buona parte dei costumi e delle leggi locali, non vi sarà alcun progresso realmente possibile in termini di democrazia, partecipazione e sviluppo economico. Infatti, non solo tutte le libertà sono legate da un unico filo, ma la libertà religiosa, che tocca il più profondo e intimo dei convincimenti di una persona, è anche a quella latitudine il fondamento di qualunque altra liberta civile, politica, sociale ed economica. Mai come in quella meravigliosa città che è Amman mi è apparto chiaro il valore non divisivo ma di chiara e feconda distinzione che fece circa 2000 anni fa colui che anche il mondo mussulmano riconosce come profeta, Gesù di Nazareth, quando affermò a pochi chilometri in linea d’aria, la necessità di “dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”.
Su questo punto nodale il cammino è ancora assai lungo e così la necessità di costruire dialogo e comprensione tra le due sponde del Mediterraneo e le diverse comunità, perché, a ben vedere, in alcuni paesi, dopo le cosiddette “rivoluzioni arabe”, la libertà religiosa è andata restringendosi, quando poi non diventa addirittura motivo di persecuzione e martirio per alcuni, a motivo della loro fede.
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