Economia

Società benefit, Il futuro del capitalismo passa da qui

Dopo il varo della legge sulle B-Corps, l'Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà ha promosso un confronto sul tema, a cui hanno partecipato fra gli altri Letizia Moratti, Mauro Magatti e il sottosegretario all'Economia Pierpaolo Baretta

di Vittorio Sammarco

Sono una delle risposte più interessanti che possono servire per “Reinventare il capitalismo con l'economia positiva”, titolo impegnativo e ambizioso del Convegno promosso oggi alla Camera dall’intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà, coordinato dal senatore Antonio Palmieri, con l’intenzione di riflettere e rilanciare un’innovazione che il nostro Paese per primo ha introdotto in modo ufficiale in Europa. Sono le Società benefit, novità introdotta nel nostro ordinamento giuridico con la Legge di stabilità 2016 (commi da 376 a 382).

Mutuate dagli Stati Uniti (le cosiddette B. Corporation), sono quelle imprese che -«nell’esercizio di una attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse» (lavoratori, clienti, fornitori, creditori). Nell’oggetto sociale le società indicano specificatamente le finalità che perseguono e attraverso una gestione che bilanci l’interesse dei soci con quello di coloro sui quali l’attività sociale può avere un impatto. Possono introdurre, accanto alla denominazione sociale, la dicitura “Società benefit” e utilizzarla nei titoli emessi, nella documentazione e nelle comunicazioni verso terzi.

Ma le B corporation sono un buon pretesto per alcune considerazioni di fondo nel dibattito sulla situazione attuale, partendo da quelle di un’imprenditrice e di un osservatore dei fenomeni sociali: “Per rispondere agli obiettivi alti che ha posto l’Agenda 2030 Onu”, ha detto Letizia Moratti in un messaggio video (impossibilitata a partecipare proprio per impegni internazionali legati a questi temi), “dobbiamo liberarci dalla dimensione del breve periodo e avere uno sguardo strategico. Guardiamo a nuovi modelli di un’economia sociale di mercato, di cui abbiamo bisogno perché il gap che c'è tra la domanda di welfare e l'offerta ormai non è più sostenibile, e si rischia di non poter più dare i servizi richiesti. Ma affinché questi modelli possano dare delle risposte adeguate – aggiunge – bisogna superare lo steccato tra profit e non profit. E quindi c'è anche il tema della riforma del Terzo settore con l'approvazione della legge che darebbe ossigeno alle nostre imprese sociali e che speriamo sia rapida”.

Mauro Magatti, docente di sociologia presso la Facoltà di Scienze politiche e sociali dell'Università Cattolica Milano, fa un discorso più ampio: “E’ evidente che le condizioni storiche culturali economiche e politiche precedenti la crisi del 2008 sono finite, ma il problema è che bisogna tentare di costruire nuovi modelli e nuovi equilibri. Il problema – secondo Magatti – è: cosa è la prossima crescita economica, cioè quale tipo di ricchezza produciamo? La crescita economica non si sostiene solo con una crescita illimitata dei consumi. La sfida molto ardua è che è necessario un cambio di paradigma. Il sistema Paese deve produrre valore, e questo, poi, genererà anche consumi. Non viceversa. Creeranno nuova prosperità quelle aziende che investono su un discorso integrale della qualità che non riguarda solo il prodotto, ma il rapporto con il territorio e i propri dipendenti. I paesi occidentali sono chiamati a questo tipo di scelte”. E conclude: “Questo comporta una metamorfosi della razionalità di breve termine che si è affermata in un contesto storico preciso che oggi palesemente non c’è più. Siamo in una stagione in cui il tema è l’innovazione, di tutta una serie di pratiche e di modi di stare insieme: questa è il tema strategico di oggi. Se riusciamo a scampare il peggio può essere che una futura ripresa economica ci consegni un mondo migliore, più equilibrato, di quello che stiamo lasciando. E’ un buona notizia, che possiamo anche chiamare ‘Progresso’, ma riuscire a costruirla o raggiungerla è tutt'altro che facile”.

Eppure l’Italia non sfigura a confronto con l’estero. Lo afferma Paola Bergamaschi Broyd, board member Numbers for Good Ltd (BCorp), e investor in NewCoh, che fa un discorso sulla base dell’esperienze e conoscenze in Uk e in Italia. In sintesi descrive il raffronto e invita a una riflessione. Dice che la crisi ha determinato nel Regno Unito come in Italia gli stessi effetti di contrazione della spesa sociale. Ma le risposte sono state diverse: a Londra si è pensato di intervenire chiamando (quasi imponendo) l’intervento concreto e sostanzioso di istituti di credito e aziende per creare un corposo Fondo che compensasse le risorse mancanti e allo stesso tempo creando una sorta di intermediatore tra chi ha i soldi da investire e chi ha idee e progetti da implementare. Questo in Italia non si è ancora fatto attardandosi con una struttura ancora lenta di ricerca dei finanziamenti pubblici. Ma il quadro che ha conosciuto in Italia – afferma Bergamaschi – rappresenta un tessuto vitalissimo e anche potenzialmente assai innovativo che aspetta solo di essere sostenuto.

Come ha fatto – ad esempio – un ente come Banca Prossima, prima banca B-Corporation in Italia, che ha ricordato il presidente Marco Morganti, ha deciso di dare prestiti a soggetti non “bancabili” come gli studenti, sulla base del merito (la regolarità negli studi e non solo i voti) e non delle potenziali garanzie economiche delle famiglie, ma allo stesso tempo per non violare gli interessi degli azionisti ha garantito il tutto con una Fondazione che sostenesse le garanzie. Sorpresa: la percentuale di mancati rimborsi è più bassa di quella del circuito tradizionale, segno che lo spirito di fondo è stato compreso.

Ma c’era bisogno di questa normativa? si chiede provocatoriamente il senatore Pd, Mauro Del Barba, primo firmatario del Ddl sulle ‘B-Corporation’; non è la stessa idea d’impresa, come sostiene l’ex coordinatore dell’intergruppo e deputato di Area popolare Maurizio Lupi, a renderla di per sé “socialmente utile”? Sì, invece, è la risposta, perché indicare nell’oggetto sociale uno o due obiettivi di benefici comuni che l’azienda intende raggiungere, significa riconoscere il valore di quelle aziende che fanno già questo tipo di lavoro, tutelandole anche – per paradosso – da eventuali azionisti che vedono in questo un tradimento dell’obiettivo principale del fare profitto: “E’ un intervento semplice e ‘innocuo’, ma posso dire che stiamo riprogrammando geneticamente l’impresa, restituendole le originali funzioni.”

Magari sulla scia di quanto hanno fatto già più di 1600 aziende nel mondo che hanno ottenuto la certificazione di B. Corporation (che non è un vero e proprio status giuridico, ma una sorta di marchio di qualità che comunque va in quella direzione) su 40.000 richieste e che – come ha riferito Paolo Di Cesare, Co-Fondatore di Nativa la prima società For Benefit Corporation italiana – sono ormai in prima fila in questo settore. In Italia sono appena 12 ad aver superato il severo vaglio degli standard previsti da B Lab, l’ente non profit statunitense che rilascia la certificazione. A breve potranno arrivare a 20 a potersi fregiare di questo marchio e presentare la qualità della propria struttura e del lavoro fatto, come quella presentata da Lucio Carli, Amministratore Fratelli Carli Spa, prima realtà italiana produttiva Certificata Benefit corporation. Poche, ancora, ma su questa strada si spera che crescano.

Il risultato dell’intensa mattinata di lavori è anche un’esplicita richiesta di collaborazione del governo al parlamento. “Stiamo facendo già un buon lavoro in tanti piccoli pezzi – ha detto il sottosegretario all’Economia Pierpaolo Baretta, – ma dobbiamo costruire insieme il mosaico, il disegno complessivo”: almeno su tre punti (il sistema di valutazione dello stato socioeconomico del Paese (che superi il solo Pil come misuratore); il sistema di garanzie per chi accede al sostegno finanziario di idee e progetti; la legislazione di base, in particolare quella sul terzo settore ancora in discussione in Parlamento. “Io sono disponibile, a fare questo percorso comune, chiedo a voi di lavorare insieme”. Invito raccolto a conclusione dal coordinatore Palmieri: “Siamo dentro un travaglio e un parto che sta facendo nascere un mondo totalmente nuovo. La valenza di questi incontri è di natura prettamente culturale, per seminare questo tipo di consapevolezza. Molto protagonismo potrà venire anche a livello comunale, il luogo dove la sintesi porta a un livello di qualità che coniuga le esigenze del territorio con la complessità e la farraginosità del sistema”. E questo lavoro, appunto, per Palmieri deve continuare.

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