Economia
Società benefit e imprese sociali: doppio binario?
Monica De Paoli, notaio esperto di organizzazioni non profit, analizza la nuova legge italiana mettendo in evidenza alcuni vuoti normativi e auspicando, rispetto alla riforma del Terzo settore, che «il legislatore eviti ulteriori incertezze di cui il Terzo settore non ha bisogno»
Mi inserisco nel dibattito sulle società benefit inaugurato da Vita, per condividere alcune riflessioni seguite alla costituzione delle prime società benefit. Innanzitutto facciamo chiarezza su un comune equivoco linguistico. Il termine B-Corp è di frequente utilizzato come accattivante sinonimo “giornalistico” delle società benefit, ma, nella sua accezione originaria, si riferisce alle società che abbiano ottenuto una certificazione da parte del soggetto a ciò preposto: la società B Lab negli Stati Uniti, o la sua società partner, che in Italia
è Nativa. Il certificatore attesta il raggiungimento di determinati standard qualitativi nello svolgimento dell’attività di impresa, in un’ottica che si può considerare l’evoluzione della corporate social responsibility.
L’espressione società benefit si riferisce invece ad uno specifico status giuridico, introdotto dalla Legge di Stabilità 2016, di enti for profit che perseguono, accanto allo scopo classico della divisione degli utili, anche finalità di beneficio comune. Si riferisce, cioè, a società commerciali che mirano ad avere un impatto positivo sull’ambiente e sulla società civile e intendono operare in modo sostenibile e trasparente.
Già da qualche anno in Italia alcune società sono diventate B-Corp certificate. Oggi è possibile assumere anche una veste giuridica ad hoc, quella delle benefit. Qualifica aggiuntiva, che non sostituisce quella del tipo societario prescelto, similmente a quanto avviene per le imprese sociali o per le startup innovative a vocazione sociale. Nativa, B- Corp certificata, ha assunto lo status di società benefit di diritto italiano, e molte B-Corp seguiranno verosimilmente il suo esempio.
La legge richiede che la società benefit sia amministrata in modo da contemperare il perseguimento dell’interesse dei soci con le finalità di beneficio comune e con gli interessi degli stakeholder. La qualifica di società benefit comporta specifiche conseguenze sul piano della disciplina: nella denominazione, nella previsione dell’oggetto sociale, nella predisposizione di una relazione annuale in sede di approvazione del bilancio, nell’osservanza di uno standard di valutazione. Con ripercussioni considerevoli sulla responsabilità degli amministratori, che rispondono per inadempimento dei doveri imposti dalla legge e dallo statuto, in caso di mancato perseguimento delle finalità indicate nell’oggetto sociale.
Non sono previsti dal legislatore né l’istituzione di una sezione speciale presso il registro delle imprese per le società benefit (che quindi vengono iscritte nella sezione ordinaria), né un regime fiscale agevolato.
Ha ragione Stefano Zamagni quando scrive che chi sceglie di essere società benefit investe sul proprio capitale reputazionale.
Approfondendo l’esame mentre costituivo la mia prima benefit, tuttavia, ho avuto le prime incertezze legate al testo di legge, in alcuni punti approssimativo. Ad esempio, la società “può introdurre, accanto alla denominazione, le parole Società benefit o l’abbreviazione SB”. Facoltà e non obbligo? L’aggiunta, se utilizzata, diventa parte integrante della denominazione (come previsto per le ONLUS, per intenderci)? Peraltro l’abuso di utilizzo della qualifica è sanzionato come pubblicità ingannevole.
“La società benefit” redige annualmente una relazione, concernente il perseguimento del beneficio comune, e la allega al bilancio. Essa include:
- a) la descrizione degli obiettivi specifici, le modalità di attuazione poste in essere dagli amministratori e la individuazione di circostanze che ne hanno impedito o rallentato il perseguimento;
- b) la valutazione dell’impatto generato, attraverso il c.d. “standard di valutazione esterno”;
- c) la individuazione programmatica dei nuovi obiettivi da perseguire.
La legge non dice quali sono gli organi competenti alla predisposizione della relazione: logica vuole che siano gli amministratori, in analogia a quanto previsto per il bilancio, cui deve essere allegata; come avviene per il bilancio, andrà poi approvata dall’assemblea.
“La società” individua poi il soggetto responsabile cui affidare funzioni e compiti per il perseguimento degli obiettivi di interesse comune. Anche in questo caso ci si chiede: chi sono i soggetti che, in concreto, effettuano tale designazione? I soci o gli amministratori? Propenderei per gli amministratori, ma non è escluso che la decisione sia rimessa ai soci, o che i soci si esprimano comunque in merito a tale designazione.
È necessario approfondire questi ed altri aspetti, ma soprattutto saranno da approfondire analogie e differenze rispetto all’impresa sociale, dopo l’approvazione del testo della Legge delega di riforma del Terzo settore.
Quest’ultima rientra tra gli enti del Terzo Settore. La qualifica di impresa sociale può essere assunta, oltre che da una società, anche dagli enti del Libro I del codice civile (associazioni, fondazioni, comitati). Il testo di riforma ammette che l’impresa sociale possa prevedere una moderata remunerazione del capitale (entro i limiti di quanto previsto per le cooperative a mutualità prevalente) e prevede agevolazioni fiscali.
La società benefit, invece, è a tutti gli effetti un ente for profit, riconducibile al libro V del codice civile, non ha limiti nella distribuzione degli utili ed è sprovvista di agevolazioni fiscali.
Niente vieta peraltro che lo statuto di una società (benefit) preveda una limitazione alla distribuzione degli utili, purché vengano reinvestiti per potenziare le attività sociali o per finalità di impatto sociale/ambientale.
Penso di poter dire che, soprattutto se i settori di attività dell’impresa sociale previsti dal d. lgs. 155/2006 verranno eliminati o ampliati in modo consistente, le aree di sovrapposizione delle due figure saranno molte, e il mancato coordinamento delle discipline creerà problemi.
Come ha scritto da Stefano Zamagni nel numero di Vita dello scorso marzo, la venuta ad esistenza delle società benefit ha sortito un effetto di “spiazzamento” per le imprese sociali.
Il legislatore della Riforma deve tenerne conto, per evitare ulteriori incertezze di cui il Terzo settore non ha bisogno.
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