Cultura
Sociale: per Censis identikit in evoluzione
Un grande patrimonio che va diversificandosi per rispondere con efficacia ai nuovi bisogni. Dalle cooperative ai fondi etici. Dossier presentato oggi da Giuseppe De Rita
di Redazione
Gli operatori sociali in Italia costituiscono una rete sociale formidabile, incredibilmente pullulante di iniziative, capace allo stesso tempo di adattamento ai nuovi bisogni, e di sviluppo, verso nuovi modelli di risposta. E’ l’identikit che traccia il Censis – elaborando altre fonti primarie come l’Istat e la Fivol – delle reti degli operatori sociali che vanno gia’ oggi oltre lo statalismo e il movimentismo. Secondo il dossier presentato oggi da Giuseppe De Rita, segretario generale e Giuseppe Roma direttore del Censis per l’ultimo appuntamento dell’iniziativa ”un mese di sociale”, attualmente si possono osservare tre diverse configurazioni di reti nell’ambito del lavoro nel sociale in Italia.
Una rete tradizionale di operatori: molecolare, leggera, attenta al contesto, orizzontale; fatta dalle associazioni di promozione sociale, dalle cooperative e dalle imprese sociali, dal volontariato e dalle onlus; conta circa 230 mila organismi operanti, oltre 4 milioni e mezzo di persone coinvolte e movimenta 38 miliardi di euro.
Le reti di tipo spontaneo: familiari, amicali, del dono, dei servizi privati di supporto che assiste il 76% degli anziani e il 74% degli invalidi, con un valore teorico non monetario stimabile dell’assistenza offerta dalle famiglie, nei soli casi di anziani non autosufficienti, si aggira intorno ai 75 miliardi di euro.
Le reti, infine, della responsabilità sociale diffusa: impresa sociale, credito etico, consumo critico, marketing sociale; le imprese sociali ammontano ormai a circa 7 mila nel nostro paese, contano 196 mila soci ordinari, 16 mila volontari e 21 mila 600 persone svantaggiate inserite, con un giro d’affari di 3,6 miliardi di euro. I ”fondi etici” sono ormai una realta’ con 2,5 miliardi di euro in patrimonio gestito e 4 milioni si investitori propensi ad impegnarsi in simili tipi di fondo; cosi’ come sono diventati milioni, fra i 7 e i 14, gli italiani favorevoli a un consumo responsabile e critico preferendo anche spendere di piu’ per avere prodotti rispettosi dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente; mentre sono gia’ 50 mila le aziende di agricoltura biologica e 1.500 quelle attive nella zootecnia biologica; ed infine rientrano in questa tipologia di rete anche il 44% delle imprese che investono in iniziative di social responsability, delle quali il 92% si dice soddisfatta per questo tipo di investimenti, che finora si aggira sugli 826 milioni di euro. L’associazionismo – ricorda il Censis – si compone di oltre 202 mila istituzioni, di circa 281 mila persone retribuite e di oltre tre milioni di persone non retribuite (tra volontari, religiosi e obiettori), mentre le risorse finanziarie di cui dispone sono prossime ai 22 miliardi di euro.
Le organizzazione di volontariato sono oltre 26 mila, gli operatori retribuiti circa 50 mila, mentre i volontari attivi ed i religiosi sono circa 1 milione.
Le cooperative sociali sono invece circa 7.000 con oltre 196 mila soci ordinari e circa 16 mila soci volontari; secondo una stima della Cgm il fatturato e’ di 3,6 miliardi di euro.
Le Fondazioni sono oltre 3000 e vi fanno capo 110 mila persone tra retribuiti e non retribuiti, e dispongono di un ammontare di risorse valutato intorno ai 5 miliardi di euro. Da notare che le 89 Fondazioni bancarie, nel 2000, hanno erogato finanziamenti per circa 1,7 miliardi di euro, piu’ del doppio rispetto all’anno precedente.
Con riferimento alle Organizzazioni non governative (Ong), ne sono operative 170, con oltre 1.500 volontari per 2.787 progetti e finanziamenti che, per il 1999, sono stati pari a 295 milioni di euro. Proprio l’estrema molecolarita’ dei soggetti rende particolarmente consistente il numero di istituzioni che devono essere classificate nella generica definizione ”altre tipologie”; infatti, si tratta di quasi 8 mila unita’ per un totale di circa 240 mila persone e risorse per 7 miliardi di euro.
Altro strategico indicatore di crescente molecolarita’ dei soggetti e della loro azione e’ la disaggregazione per settori di intervento e per tipologia di utenza servita. In concreto, il 38,5% degli enti non profit in Italia svolge almeno due attivita’ mentre, con riferimento ai settori di intervento delle associazioni, si va da attivita’ culturali e artistiche (che rappresentano il settore di attivita’ prevalente del 19,0% degli enti non profit), ad attivita’ sportive (il 27,7%), da servizi sanitari come quelli ospedalieri generali e riabilitativi o quelli psichiatrici o per lungodegenti (4,4%) ai servizi di assistenza (7,2%), alla protezione dell’ambiente e degli animali (1,5%) alla promozione dello sviluppo economico e della coesione sociale (1,6%) sino alla cooperazione e solidarieta’ internazionale (circa 1.300 enti).
Anche dall’analisi dell’evoluzione dei campi di intervento delle organizzazioni di volontariato si riscontra una tendenza all’ampliamento con, in particolare, una crescita nei campi dell’educazione, della promozione sportiva e ricreativa e della protezione civile che vanno affiancando quelli piu’ tradizionali rappresentati dalle attivita’ socioassistenziali e sanitarie.
Rilevante, secondo il Censis, la tendenza a una maggiore leggerezza e flessibilita’ operativa delle strutture e delle organizzazioni. Si e’ registrata una progressiva contrazione della dimensione media delle organizzazioni che, per il volontariato, e’ passata da 34 volontari per organizzazione nel 1997 a 22 volontari nel 2000; inoltre, il 30,9% delle organizzazioni si compone di non piu’ di 5 militanti e il 56,5% di non piu’ di 10 militanti. All’interno di questa dinamica va, poi, inserito il crescente ruolo esercitato dalle famiglie e, piu’ in generale, dalle reti di solidarieta’ parentali e amicali che non e’ semplicemente di supplenza rispetto alle carenze dell’offerta pubblica e/o privata di servizi socioassistenziali, ma risponde anche a precise esigenze riguardo al contenuto ed alla qualita’ delle attivita’ di supporto ai malati e alle persone che necessitano di aiuto.
La leggerezza e’ anche funzionale alla flessibilita’ operativa e, di conseguenza, alla capacita’ di aderire all’evoluzione dei bisogni dell’utenza. Non a caso il 76 % degli enti non profit ha aperto nuovi servizi per l’utenza alla quale gia’ si rivolgeva, il 62% ha aperto nuovi servizi per nuove utenze e il 39,7% ha trasformato servizi gia’ esistenti. Solo il 7,4% non ha effettuato alcuna variazione rispetto alla tipologia di servizi e/o di utenze destinatarie delle attivita’. Si assiste anche al progressivi passaggio degli operatori sociali da interventi e progetti focalizzati sul soggetto disagiato a quelli sul contesto emarginante, ponendo al centro dell’azione contro l’esclusione sociale iniziative che vogliono avere valenza preventiva, dentro la trama del ”fare comunita”’, della sistematica ritessitura di relazioni e rapporti.
Rispetto all’insorgere di nuove problematiche sociali o all’evoluzione di quelle piu’ tradizionali occorre esplorare le risposte spontanee che, a vario livello, si vanno attivando. Sotto questo profilo, risultano fondamentali il ruolo e le potenzialita’ delle reti familiari, amicali e di auto-aiuto. In particolare, la famiglia si e’ andata caratterizzando sempre piu’ come un nodo strategico delle reti sociali con una progressiva funzione rispetto ad una pluralita’ di ambiti sociali. Infatti, essa costituisce una unita’ di produzione di servizi strategica rispetto ai processi di snellimento dell’offerta e, piu’ in generale, ha internalizzato compiti importanti di protezione sociale tradizionalmente attribuiti alla comunita’. In concreto: le famiglie garantiscono interamente l’assistenza a circa il 76% degli anziani non autosufficienti ed al 74,3% di invalidi e disabili. Inoltre, il 17,4% degli anziani non autosufficienti ed il 24,4% di invalidi e disabili sono assistiti dalle famiglie con la collaborazione di medici e operatori sociali o di operatori non professionali: e’ possibile stimare in circa 75 miliardi di euro il valore monetario dell’assistenza fornita dalle famiglie agli anziani non autosufficienti.
Nella rete spontanea che fa capo, in sostanza, alla famiglia e’ da considerare anche il ruolo crescente che vanno esercitando gli anziani considerato che oltre il 40% dei bambini con eta’ fino a 14 anni (addirittura circa il 50% di quelli con eta’ fino a 2 anni) quando non e’ con i genitori o a scuola e’ affidato ai nonni conviventi e non.
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