Non profit
Sociale e sanitario in cerca di integrazione
Un nuovo modello è possibile. Con il terzo settore protagonista
di Luca Zanfei
Un primo progetto in Piemonte. Qualche sperimentazione in altre regioni. Ma sinora la tanto auspicata innovazione
del welfare della salute è rimasta sulla carta.
Eppure con una vera sussidiarietà le Regioni potrebbero risparmiare.
E l’utente beneficiare di servizi meno frammentati
Come se non bastassero i tagli e i bilanci ridotti all’osso, ora ci si mette anche l’ultimo allarme del Ceis – Centre for Economic and International Studies di Tor Vergata a funestare i sogni degli amministratori locali. Il continuo incremento del debito sanitario e la relativa ricaduta sui conti delle famiglie, ormai impongono un repentino cambiamento di rotta. Ma da dove cominciare? Se fosse per il ministro Sacconi, si andrebbe subito verso una medicina di territorio. Peccato che la realtà sia ben diversa. E se le azioni intraprese dai governatori si sono finora ridotte alla chiusura degli ospedali e alla razionalizzazione di posti letto, da più parti si invita a ripensare la governance in un’ottica di estensione dell’offerta di rete di prossimità. La stessa Fiaso – Federazione italiana aziende sanitarie ospedaliere nel rapporto Un modello per il governo del territorio delle aziende sanitarie evidenzia come l’investimento sul territorio e sulle strutture intermedie e l’assistenza domiciliare integrata possa avere una ricaduta positiva sul sistema, riducendo i costi complessivi e i casi di inappropriatezze.
Perché, come rilevato anche dal Formez, il problema non è tanto la spesa, quanto l’efficienza e l’organizzazione del sistema. Ma non solo. «Il caso della Lombardia è sintomatico», spiega Alberto Leoni, presidente di Comunità Solidali, società del gruppo Cgm che si occupa di disabilità, psichiatria e anziani. «Qui il modello innovativo efficiente si riduce alle forme di accreditamento in ambito sanitario, indirizzate alle sole imprese private. Non c’è una vera cultura della sussidiarietà e dell’integrazione tra servizi sociali e sanitari. La parte sociale di competenza dei Comuni rimane all’ente pubblico con enormi costi di gestione, la parte sanitaria va ai privati. Questo, a lungo andare, si ripercuote sulle famiglie che spesso vanno a cercare altrove pagando di tasca propria».
Una filosofia che trova d’accordo anche Leoni: «Oggi c’è bisogno di cambiare mentalità», spiega, «non possiamo più accontentarci dell’assistenza domiciliare o della presa in carico di piccole fette di intervento. Dobbiamo invece rimetterci in gioco, arrivando a gestire interi servizi complessi». Ecco perché anche Cgm, con il progetto Welfare Italia, sta cercando di mettere in atto un sistema di sanità leggera fondato su una nuova concezione dell’integrazione. «Su base territoriale ora c’è bisogno di un punto di incontro che vada oltre gli strumenti finora sperimentati», afferma Leoni .«L’idea è quella di coinvolgere anche i medici di medicina generale e di affiancare agli ambulatori uno sportello di raccolta della domanda e coordinamento dei servizi. Solo così si potrebbe costruire un vero percorso di presa in carico della persona. La frontiera del socio-sanitario è quella di mutualizzare la domanda per poi organizzare l’offerta a più livelli».
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