Dov’è che si vede (e magari si misura) il carattere sociale di un’impresa? Per i fautori della social innovation soprattutto in quel che fa, nei beni e servizi che produce e che sono funzionali a realizzare una mission volta a cambiare le regole del gioco. Per gli esponenti dell’economia sociale conta molto il come l’impresa è gestita. Quindi enfasi sulla governance, sul fatto che l’impresa sia aperta al contributo di diversi portatori di interesse, possibilmente abbassando l’asticella per l’accesso ai diritti di proprietà. C’è un altro ambito che però mi sembra importante e, a volte, sottovalutato, ovvero come un’organizzazione d’impresa lavora sui bisogni ai quali vuole rispondere. Magari prima ancora di strutturare veri e propri processi produttivi e prima ancora di aver assestato il proprio sistema di governance. In poche parole, prima ancora di essere formalmente un’impresa. E’ un tema di grande interesse, dopo che per molti decenni le imprese in generale hanno risposto esclusivamente a una domanda pagante, spesso inventandosi veri e propri non-bisogni. Forse anche una parte dell’imprenditoria sociale è stata fagocitata in questo meccanismo di risposta a una domanda artificiale, definita più dai contenuti dei capitolati d’appalto che non dalle esigenze di chi beneficia, a vari livelli, delle attività messe in campo. E’ un tema scabroso, ricco di ambiguità. “Leggere i bisogni”, ad esempio, è un’espressione molto in voga tra gli operatori sociali che ammanta di neutralità questo processo, riducendolo a una procedura dove si dà per scontato che i bisogni siano già scritti, definiti e quindi solo da rilevare. Non a caso in questi anni è stata approntata una cassetta degli attrezzi ben fornita allo scopo. In realtà proprio il settore “sociale” insegna che nessun bisogno esiste in quanto tale. E’ piuttosto il frutto di un percorso di costruzione e mediazione tra interessi fortemente differenziati per contenuto e capacità di espressione: dai beneficiari in avanti. E’ da qui che si parte per fare l’impresa sociale. Questa è la fonte che ispira la produzione di beni che sono autenticamente di “utilità sociale” e un’organizzazione che è multistakeholder non solo perché lo dice la legge o qualche modello teorico in voga. Non a caso gli imprenditori sociali di successo sono quelli che hanno trovato le soluzioni innovative proprio nel bel mezzo dei bisogni.
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