Non profit
Social women
Ormai un dirigente su tre del nostro terzo settore è donna
La presenza femminile è accentuata nella cooperazione sociale, specie al Sud, e in crescita anche nelle associazioni. Ecco le loro storie fatte di tanto lavoro e tanta famiglia Vivere la solidarietà in modo totalizzante, senza rinunciare a lavoro e famiglia; privilegiare il rapporto con le persone ed essere allo stesso tempo idealiste quanto basta e concrete quanto serve. Sgomitare, ma sapere anche farsi da parte. E infine: saper collaborare e condividere, che è poi quanto di meglio la natura abbia regalato alle donne. Sono queste alcune delle sfide che si trovano ad affrontare le presidenti, direttrici o responsabili delle non profit. Che non saranno tantissime, ma stanno crescendo e, a giudicare dai trilli dei telefoni e dal brusio di voci che hanno accompagnato ogni conversazione, sicuramente sgobbano come e più dei loro colleghi maschi.
«Sì, le donne hanno un diverso approccio alla vita», aggiunge Claudia Fiaschi, presidente del gruppo Cgm dallo scorso giugno, «e non è un caso che il mondo cooperativo abbia consentito loro di prendersi molto spazio: nelle coop sociali di tipo A siamo ormai all’80% di presenze femminili. Collaborare, cooperare è il modo di lavorare che abbiamo nel dna, mentre gli uomini non riescono a staccarsi dal modello di leadership individuale». Già, poverini. Però questo individualismo ha permesso all’uomo di affrancarsi da una serie di obblighi familiari che invece portano ancora oggi le donne a una difficile conciliazione tra casa e lavoro? «Sempre meno difficile», ribatte la Fiaschi, «perché oggi le donne chiedono molto di più ai loro uomini, si aspettano giustamente da loro un contributo sostanziale alla vita della famiglia e all’organizzazione della casa. Una volta le donne dovevano portare tutto sulle loro spalle, adesso hanno imparato a dividere i pesi».
E le donne anche qui sanno conquistarsi gli spazi e difenderli, come racconta Aurora Di Lenola, 35 anni, responsabile del settore Giovani dell’Avis, mamma di una bambina di un anno. «Quando sono rimasta incinta alcuni dirigenti mi hanno paventato, senza ben inteso mai mettermi alla porta, di farmi da parte», racconta, «ma io ho resistito, incoraggiata da altri dirigenti ma soprattutto da molte ragazze dell’associazione. Mi dicevano: rimani, se lo fai tu possiamo pensare che è possibile. E così sono qui». Aurora lavora (fa l’impiegata), dedica molto tempo ad Avis, ha un marito e una figlia piccola: rischi di burn out? «Non è facile», risponde, «ma ho al mio fianco persone che capiscono il mio impegno. Quando sono stanca penso: ma se il volontariato perde i giovani, e soprattutto le ragazze, dove va?».
Eppure, c’è chi il domani lo aspetta senza ansie, pur avendo vissuto un “ieri” fatto di 26 anni ininterrotti di presidenza dell’Aisac, l’associazione per l’informazione e lo studio dell’acondroplasia: è Donatella Valerio Sessa: «Discriminazione? Leadership maschile? Ma dove? Io vedo uguaglianza, pari opportunità ed equa suddivisione di generi», afferma sicura. «A questa storia della diversità di talenti non ci credo». All’Aisac però la maggioranza è fatta di donne? «Non la maggioranza, siamo proprio tutte donne. Ma che c’entra? È solo un caso?».
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