Economia

Social Impact Investment, Calderini: «Ecco come lavorerà la task force»

Il professore milanese nei prossimi giorni sarà a Londra per il primo incontro operativo: «L'Italia e i Paesi anglosassoni hanno approcci molto diversi, occorrerà trovare un punto di incontro». La legge sull'impresa sociale? «Non giriamoci attorno, è un nodo da affrontare a breve»

di Redazione

A Londra i prossimi 4 e 5 dicembre si terrà il primo incontro operativo degli esperti della task force sul Social Impact Investment, nominata lo scorso giugno, durante il Social Impact Investment Forum del G8. Oltre ai rappresentati delle otto economie più importanti del pianeta al gruppo partecipano l’Australia e dopo qualche piccola polemica anche la Commissione Europea (a cui spetterà il compito di portare i risultati di questo tavolo nel solco dei lavori della Social Business Initiative). Per l’Italia, insieme a Giovanna Melandri, presidente di Uman Foundation e al professor Mario La Torre dell’Università La Sapienza di Roma nella capitale inglese interverrà Mario Calderini (qui le sue slides di presentazione), consulente dell’ex ministro Francesco Profumo e professore alla School of Management del Politecnico di Milano. Vita.it ha raggiunto Calderini qualche giorni prima della sua partenza per l’Inghilterra.

Quali sono gli obiettivi di questo primo incontro?
Si tratta del primo step in cui oltre alla costituzione dei quattro working group (misurazione dell’impatto; strumenti operativi; modelli di governance dei fondi; focus specifico sulla cooperazione internazionale) incominceremo a mettere a fuoco gli obiettivi della task force che in base al mandato sono sostanzialmente due: fotografare lo stato dell’arte e indurre i governi a introdurre strumenti di standardizzazione  e metriche di misurazione dell’impatto sociale. Con l'obiettivo di produrre un rapporto entro un anno.

A che punto siamo in Italia?
Mi sembra che nella società civile, ma negli ultimi mesi anche nella politica questi temi stiano richiamando sempre più risorse. Penso per esempio al fenomeno del venture capitalist e alla nuova normativa sul crowdfunding. Ciò detto a livello internazionale il nostro sistema dovrà in qualche modo confrontarsi con altre sensibilità.

A cosa si riferisce?
Il modello anglosassone parte da un assunto: il welfare pubblico sta arretrando in modo notevole a causa di vincoli di bilancio sempre più stringenti. Occorre quindi, questo è il loro modo di ragionare e se vogliamo anche la loro ideologia, lasciare sempre più spazio all’imprenditorialità sociale e alla finanza ad essa collegata. È un approccio che può anche essere molto efficace, ma che taglia di netto le curve che ci sono in un Paese come il nostro. Dove esiste e opera un mondo, quello della cooperazione sociale, molto forte e molto vivace. Credo che prima di prendere una strada piuttoisto che un'altra anche all’interno della task force occorrerà confrontarsi in modo approfondito sulle ragioni dell’arretramento pubblico e su chi dovrà occupare quegli spazi. Questo è un primo snodo del nostro lavoro, poi c’è la questione della misurazione dell’impatto sociale.

E in questo senso qual è il percorso che ha in mente?
Io penso che dobbiamo abbandonare l’idea di costruire un modello a scaffale buono per tutti i contesti e pensare invece a una metrica diversa a seconda di cosa vogliamo misurare. Non credo realistico avere gli stessi criteri, faccio un esempio, per interventi sanitari o iterventi di manutenzione del verde. Penso quindi a qualcosa di più simile a linee guida sul Social Impact Investment (che fra l’altro sono anche più facilmente inseribili nelle legislazioni nazionali), piuttosto che a un elenco di 40 indicatori universali.

Il vostro lavoro come si incrocia con il dibattito sull’impresa sociale?
L’incrocio è indiretto. La task force lavora sul lato dell’offerta, più che su quello della domanda. È poi chiaro noi come responsabili italiani abbiamo anche il compito di portare al tavolo l’idea che non possiamo sbizzarrirci sulle dotazioni finanziarie più ricercate, senza poi avere una domanda che le sostenga.

Come valuta l’attuale legge sull’impresa sociale, la 155/2006?
È un argomento su cui sarei un po’ prudente, ma credo che alcuni nodi strutturali vadano affrontati quanto prima. È inutile girarci attorno e far passare il tempo. Io per esempio sono abbastanza favorevole alla distribuzione dei profitti.
 

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