Welfare

Social Housing a passo lento

Al via l'ottava edizione Eire. Ma le case low cost non decollano. L'inchiesta

di Daniele Biella

Da domani al 7 giugno sarà di scena in Fieramilano Rho l’ottava edizione di Eire – Expo Italia Real Estate. La più grande fiera italiana destinata al settore immobiliare che quest’anno riserverà uno spazio importante alla Social Housing Exhibition.

Un mercato, quello del social housing, che vive enormi contraddizione. Da una pèarte ci sono disponibili 2 miliardi di euro della Cassa Depositi e Prestiti e decine di ottimi progetti, ma la casa low cost in Italia stenta a decollare. Dal’altra ci sono 650mila richieste di abitazioni a basso costo, ma i nuovi modelli di edilizia sociale, con qualche eccezione come in Lombardia, rimangono alla portata di pochi. Le ragioni? Tempi lunghi  e costruttori molti timorosi.

Per l’occasione proponiamo l’inchiesta pubblicata sul numero 21 del magazine sotto il titolo “Social Housing, buone case per pochi”.   

La frenata c’è, ed è brutta. Fino a un anno fa per l’housing sociale sembrava appena iniziata la stagione d’oro: al via un cantiere dopo l’altro, fondi pubblici e privati facilmente reperibili, crescita esponenziale dei progetti futuri. Oggi, invece, la crisi ha spazzato via l’ottimismo: pochi modelli che funzionano, concentrati in pochissimi luoghi tanto da far emergere un’Italia a doppia velocità: Lombardia che ingrana, resto d’Italia, con alcune eccezioni, al palo. Non siamo di fronte a un débâcle totale, ma che qualcosa stia andando più che storto lo ammettono in primo luogo gli stessi operatori: «Quasi ovunque si va molto più lenti del previsto. E un po’ è anche colpa nostra», fa autocritica Alessandro Maggioni, vicepresidente nazionale di Federabitazione – Confcooperative e presidente della sezione lombarda dello stesso ente. «Si poteva arrivare più preparati alla situazione attuale, che parla di un contesto difficile di accesso alla casa», specifica Maggioni.

Basti pensare che in Italia oggi vi sono almeno 650mila richieste non corrisposte di alloggio popolare, a fronte di 900mila case Erp (edilizia residenziale pubblica) già assegnate. «Ognuno degli attori coinvolti ha delle responsabilità: in prima fila gli operatori immobiliari e le banche che non danno più crediti e mutui, ma anche le nostre cooperative, che hanno effettuato operazioni d’acquisto senza copertura finanziaria iniziale, e i Comuni, che con il traino degli oneri di urbanizzazioni hanno agevolato la costruzione di edifici un po’ ovunque», rincara Maggioni.

Con l’offerta residenziale pubblica al minimo storico (nel 1984 nascevano 34mila abitazioni sovvenzionate all’anno, oggi sono meno di 2mila), così come i fondi pubblici (si salvano unicamente i 2 miliardi di euro del Fia, il Fondo di investimenti per l’abitare introdotto nel 2008 dalla Cdp Investimenti sgr, società di gestione del risparmio della Cassa depositi e prestiti), il social housing, ovvero l’evoluzione dell’edilizia popolare in termini di partecipazione comunitaria e mix sociale, affronta oggi più ombre che luci. «La concretizzazione di un progetto, dall’idea iniziale alla sua realizzazione, richiede tempi lunghi», conferma Marco Sangiorgio, direttore generale di Cdp Investimenti sgr, «e la sostenibilità economica e finanziaria dei progetti di social housing è difficile, in quanto sono caratterizzati da costi sostanzialmente equivalenti a quelli dell’edilizia libera ma da ricavi limitati, perché i prezzi di cessione e i canoni di locazione degli alloggi sociali sono calmierati».

Cifre certe del numero di alloggi disponibili in edilizia sociale non ce ne sono, e già questo è un dato per capire la difficoltà del settore. Di sicuro sono molto meno di 50mila, che è il numero di case gestite da cooperative sul totale di 900mila Erp. La stima è che siano poco più dei dati raccolti nel 2011 dai promotori di Eire (Expo Italia real estate), che parlavano di 157 progetti attivi – il 33% dei quali terminato, il 46% in realizzazione, il restante 21% in progettazione – in cui sono coinvolti 495 soggetti, tra cui 128 Comuni promotori, 55 cooperative di gestione dei progetti, 99 progettisti e 89 imprese di costruzione. Con una media di 80 alloggi per progetto, quindi meno di 13mila in totale, e un costo al metro quadro di poco superiore ai mille euro.

Impressionante è la doppia marcia impressa dalla distribuzione geografica: il 32,3% dei progetti è in Lombardia, che con Piemonte, Umbria ed Emilia Romagna arriva al 70,3%. Il resto d’Italia? Briciole. «Altrove ci si trova almeno due anni indietro», conferma Sergio Urbani, direttore di Fhs – Fondazione Housing sociale, uno dei principali enti promotori di progetti di alloggio sociale, con all’attivo importanti esperienze a Crema, Milano, Cremona e Parma (dove è previsto il numero record di 852 abitazioni, molte delle quali a oggi però invendute, «a causa della crisi»).

«La Lombardia, in particolare, è all’avanguardia perché la Regione ritiene il social housing un vero e proprio complemento della politica pubblica», spiega Urbani. Uno degli ultimi atti ufficiali del Consiglio regionale lombardo conferma le sue parole: la legge n. 4 del 13 marzo 2012 consente di «cambiare la destinazione d’uso di edifici improduttivi in opportunità di residenza sociale», specifica il direttore di Fhs. L’ultimo progetto della fondazione in Lombardia ha fatto registrare un inatteso boom: per i 135 alloggi di via Cenni, a Milano, sono arrivate 400 richieste. Tolta però la lungimiranza lombarda (vedasi anche il caso di partecipazione attiva di via Zoia, zoiablog.com, gestito dal consorzio Ccl) e un pugno di altri casi modello (tra cui quelli delle cooperative piemontesi, aderenti a Legacoop, Di Vittorio e San Pancrazio, e i progetti della Compagnia San Paolo a Torino), il resto del panorama è desolante. Come testimoniano, impietosi, i numeri dell’agenzia Eurostat, nel rivelare un’Italia del tutto fuori linea rispetto a molti standard europei e internazionali: se l’Olanda è al top in quanto a stock di edilizia sociale con il 32% del totale, seguita a breve distanza da Austria, Repubblica Ceca e Danimarca, l’Italia è solo tredicesima con il 4%. Ancora, il Belpaese svetta nella lista nera del Severe housing deprivation, l’indice che misura a livello internazionale il disagio abitativo tra sovraffollamenti e abitazioni di scarsa qualità: il nostro Paese è al 7,3%, mentre la media dell’Europa occidentale al 2,5%.

Nell’immagine di copertina il progetto del Social Main Street nel quartiere Bicocca di Milano 

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