Formazione

Social forum, stavolta la ribalta ce l’hanno i poveri

A Bombay la città indiana è stata invasa da una folla senza precedenti.

di Carlotta Jesi

“Il Social forum di Bombay è stato uno choc”, confessa Raffaele Salinari di Terre des hommes. Un veterano dei summit antiglobalizzazione, avvezzo agli effetti di miseria e povertà, che però ammette di esser stato preso in contropiede da fuoricasta, transessuali e bambini prostituti. “Finora siamo stati dei signorini: a Porto Alegre, i dannati della terra non c?erano. Incontrarli è stato uno choc. Benefico. In India ho ritrovato le radici del movimento”. E con esse una nuova direzione verso cui orientare le sue battaglie: “L?Africa, come sede del prossimo Social forum e come simbolo di un movimento che deve fare da ponte tra chi vive in prima persona gli effetti del liberismo senza regole e noi che stiamo studiando per modificarlo”.
Un ponte che Luca De Fraia, di Azione Aiuto, ritiene fondamentale per evitare che la lotta alla globalizzazione non partecipata degeneri “da costruzione di un mondo migliore a lotta all?impero”. O all?imperialismo. Parola che, a Bombay, è stata usata per etichettare un po? di tutto: dai missili di Bush alle politiche del Fondo monetario internazionale, alla privatizzazione dell?acqua. “Ma dobbiamo stare attenti, perché dietro a questa lotta all?impero c?è una visione del mondo pericolosa che rischia di spaccare in due anche la società civile: da una parte ci siamo noi, i poveri, e dall?altra voi, i ricchi”, continua De Fraia. Il modo migliore per evitare questa divisione?
Nel Paese che ha il tasso di crescita più alto dell?Asia ma ove la ricchezza è in mano al 20% della popolazione e dove ogni mese 500 bambini spariscono senza più essere ritrovati, gli attivisti italiani sembrano aver trovato tutti la stessa risposta: collaborare di più con le realtà del Sud del mondo, riorientando le campagne in base a bisogni e suggerimenti offerti dalle associazioni incontrate in India. Bisogni che, in alcuni casi, hanno lasciato un po? spiazzati i new global occidentali. Sauro Scarpelli, per esempio, che coordina la campagna contro le armi di Amnesty dal Segretariato generale di Londra, racconta: “In Europa lavoriamo soprattutto sul trasferimento di armi, cercando un modo per bloccarlo. Ma, durante un seminario, ho scoperto che qui c?è un problema ancora più urgente: lo smaltimento delle armi leggere già in circolazione. Solo a Bombay, ce ne sono più di mezzo milione. E le cose vanno peggio in Nepal: 10 anni fa era un Paese pacifico dove la guerra civile era impensabile, oggi per farla bastano 50 dollari, il prezzo di un fucile automatico”.

Nuovi compagni d?azione
Scarpelli non è l?unico ad aver trovato nuovi compagni d?azione tra i 100mila attivisti di 2.600 organizzazioni che hanno invaso Bombay. C?è anche Sabina Siniscalchi, della Fondazione Banca etica: “Sono rimasta colpita dalla protesta dei dipendenti delle banche indiane che oggi sono pubbliche ma stanno per essere privatizzate, col rischio che il servizio del credito, nazionalizzato durante il processo di decolonizzazione, diventi d?élite. Di accesso al credito e finanza responsabile non si è parlato abbastanza, ma la protesta contro la privatizzazione delle banche ci consentirà di approfondire il problema. Magari con un incontro tra dipendenti della Banca etica e di questo sindacato”.
Dalla finanza alla governance. Ovvero la gestione trasparente di istituzioni, banche e governi tanto di moda negli Stati Uniti e in Europa, che Mary Robinson, l?ex Commissario Onu per i diritti umani oggi presidente onorario di Oxfam, appalta ai new global: “Questo è un movimento per il buon governo che può invitare Stati e istituzioni a rispettare gli impegni presi nel campo dei diritti umani”. Gli strumenti non mancano, spiega Mariarosa Cutillo di Mani Tese: “A cominciare dalla proposta di norme coercitive che obblighino imprese e governi a rispettare i diritti dell?ambiente e delle persone”.

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