di Gustavo Ghidini*
Pochi mesi non bastano a una burocrazia come la nostra per mettere a regime una novità che all’esordio è destinata a più di un milione di cittadini. Né bastano ai cittadini, in assenza di una campagna di informazione adeguata, per imparare a servirsene. Il combinato disposto di inefficienza e disinformazione ha naturalmente prodotto il primo risultato negativo: la sottoutilizzazione. Da un lato, un alto numero di carte non risultava caricato dei 120 euro annunciati per coprire l’ultimo trimestre 2008. Dall’altro, il numero delle richieste di attivazione è risultato meno della metà del previsto. Il lancio è stato dunque un mezzo fallimento.
La formula, poi, delle condizioni di accesso, ha prestato il fianco a critiche anche serie (non tutte lo sono state, ma qui discutiamo al netto delle polemichette “politiche”). Dell’insieme dei requisiti di accesso beneficia una platea dominata da anziani e da famiglie povere in cui vi sia un bambino sotto i tre anni. Gli anziani fanno la parte del leone (si fa per dire): su cento famiglie aventi diritto, il 78% include almeno un anziano ultrasessantacinquenne, le famiglie povere con un bambino al di sotto dei tre anni contano per il rimanente 22%. Ora, e anzi da tempo, in Italia la fascia di povertà cresce inversamente all’età dei cittadini a causa – fra le altre – di un welfare che privilegia la spesa pensionistica rispetto al sostegno alle famiglie. E proprio la fascia della povertà che comprende le famiglie numerose con più figli (conta piuttosto il numero che l’età!) è il più rilevante, e grave, “bersaglio” mancato dalla social card come ora congegnata. Più precisamente, nella classifica della povertà relativa, le famiglie con tre o più figli rappresentano il 25%, quelle con due il 13%, quelle con un solo figlio l’8%. Sulla condizione della famiglia pesa più il numero dei figli che non la loro età e forse non occorre l’Istat per capirlo.
Tutto sbagliato, tutto da rifare, anzi da buttare, come da molti decretato? Non sono d’accordo. Ovviamente le disfunzioni evocate vanno urgentemente eliminate, e il sistema dell’accesso va rivisto in linea con le critiche richiamate a partire dal riferimento al numero dei figli a carico. Ma una volta operate le dovute correzioni e alzato, auspicabilmente, l’importo della somma mensile a disposizione, lo strumento potrà utilmente funzionare, ponendosi l’obiettivo di alzare in rapida progressione il numero dei nuclei familiari beneficiari con reddito entro i 6mila euro oltre l’attuale 26% (stime di lavoce.info su dati Istat). E soprattutto potrà rappresentare un primissimo passo verso quello strumento di equità, coesione sociale ed efficienza economica che in altri civilissimi Paesi europei è stato realizzato: il “reddito minimo di cittadinanza”.
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