Si può cominciare dal fondo a leggere la nuova “Iniziativa per l’imprenditoria sociale” della Commissione Europea. Dagli ultimi paragrafi e dalle note a fine pagina. La parte bassa del documento, in tutti i sensi. Il paragrafo quattro, prima delle conclusioni di rito, è un’accozzaglia di disposizioni che in parte rindondano quanto affermato nelle sezioni centrali e in parte non si è riusciti a infilare da nessuna altra parte. Quel che è rimasto sul campo dopo lo scontro tra le lobbies in sede di stesura. Si va dal sostegno all’invecchiamento attivo allo scambio di buone pratiche, dalla previsione di listini borsistici per l’impresa sociale alla defiscalizzazione delle donazioni e del lavoro volontario. Ma anche le note non scherzano; su tutte la numero sei che recita: “ai fini della seguente comunicazione, i termini inglesi Social Business e Social enterprise corrispondono alla nozione di impresa sociale”. Una brusca scorciatoia per togliersi dal pantano delle definizioni scientifiche e normative. Eppure nonostante questo e altro – ad esempio la drammatica assenza di dati e l’utilizzo diffuso del “progettualese” come lingua madre – l’Iniziativa per l’imprenditoria sociale è un documento importante che va letto – insieme ai documenti annessi – e soprattutto fatto conoscere a livello nazionale e soprattutto regionale. Perché si tratta della pietra angolare delle nuove politiche comunitarie in materia di impresa sociale. E, per i più prosaici, del documento che determinerà l’allocazione di risorse economiche: la prossima tornata dei fondi strutturali (Fse, Fsr e altri per il periodo 2014-2020) e i nuovi fondi privati d’investimento sociale. Saranno questi ultimi – come il Big Society Capital presentato ieri – a trainare il nuovo ciclo di vita dell’impresa sociale, e non solo perché occupano i primi posti degli undici punti che compongono il “Piano d’azione per sostenere l’imprenditoria sociale in Europa”. Ma soprattutto perché la Comunicazione propone una sorta di liberalizzazione del settore, svincolando l’imprenditoria sociale da forme giuridiche e settori di attività. Un aspetto particolarmente atteso proprio dalla finanza specializzata per la quale l’imprenditoria sociale “is nothing more than the future of business”. E così, aprendo il settore a nuovi soggetti potrà impiegare a fini sociali la massa di denaro raccolta e che attualmente, come sostiene l’Economist, fatica a trovare occasioni d’investimento. Opportunità o snaturamento? Crescita o colonizzazione? Dipenderà dalla capacità di mettere a valore gli elementi culturali, organizzativi e di performance che caratterizzano le diverse espressioni dell’imprenditoria sociale, ricorrendo, non a caso, anche a marchi e certificazioni. L’Iniziativa per l’imprenditoria sociale non va però letta solo come uno scontro tra vecchia e nuova scuola dell’impresa sociale. In realtà la sfida del documento è riassunta in un sottotitolo che dovrebbe trovare tutti d’accordo: “Costruire un ecosistema per promuovere le imprese sociali al centro dell’economia e dell’innovazione sociale”. Ognuno poi sia libero di agire come meglio crede all’interno di questa cornice.
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