Volontariato

Smettiamola di litigare

di Giulio Sensi

Mi ha colpito una frase che ho sentito dire da un volontario di protezione civile durante i giorni del Festival del Volontariato che si è chiuso ieri a Lucca. Parlando dell’opera prestata subito dopo il terremoto in Emilia mi diceva: “ad un certo punto le divise si confondevano e non contavano più”. Certo, non sempre l’associazionismo italiano è libero da tensioni, rivalità ed egoismi. Lo sappiano e lo vediamo all’opera quasi tutte le volte che arriva all’orizzonte una nomina politica o dirigenziale. Così come è da superare la retorica sul “volontariato tutto bello” di cui ancora non riusciamo a liberarci.

I volontari non sono angeli del bene: sono donne e uomini che si impegnano per mille motivi diversi, anche personali, spesso istintivamente, senza tanta retorica in testa. Così come è pericoloso guardare con sospetto ai giovani che si avvicinano al volontariato per cercare di aggiungere una goccia di speranza al loro sbocco professionale e lavorativo incerto: siamo in tanti ad essere arrivati a fare mestieri che amiamo grazie ai legami e alle competenze apprese in anni e anni di volontariato e non c’è nulla di male.

In questi giorni a Lucca di volontari ne ho visti a centinaia con ogni divisa o senza divisa, partecipare con entusiasmo e determinazione. Molti di loro anche con un pizzico di rivendicazione rispetto ad una politica che ormai pare non essere capace più di trovarsi d’accordo né costruire qualcosa di ampiamente buono.

Non è l’Italia più nobile quella che è in azione nel volontariato, è l’Italia della volontà, quella che ancora si sente parte di un progetto di miglioramento del benessere e della coesione sociale. Mi ha colpito un dato del Rapporto Istat sul Bes (Benessere Equo e Sostenibile, un lavoro pregevole di cui nei prossimi giorni parlerò ancora) relativo alla fiducia: gli italiani hanno molta o abbastanza fiducia nei familiari (oltre l’80%) e pochissima negli altri (poco più del 20%). E’ un dato a mio avviso inquietante su cui si dovrebbe riflettere non poco. Perchè parla di un paese arroccato in milioni di piccole e fragili fortezze. È in corso una “guerra civile di nervi”. Dovremmo prenderne atto. La stessa guerra civile di nervi che attanaglia la politica partitica.

Così come il volontariato, come racconta una ricerca curata dal Centro nazionale per il Volontariato e dalla Fondazione Volontariato e Partecipazione ha pochissima fiducia nella politica, specie quella nazionale.

Allora, senza voler dividere il mondo in buoni o cattivi, né fare l’”anima bella” come un politico cinico mi ha detto qualche giorno fa, mi chiedo quanto la sfiducia imperante influisca anche sull’incapacità italiana di trovare un governo e di lavorare per la coesione sociale. Osservando la politica italiana, quella nazionale e quella locale dei tanti territori sempre più sganciati l’uno dall’altro, ho spesso notato un’incapacità di fondo di trovare accordo e coesione nelle scelte. Dovuta anche, e soprattutto, all’incapacità di costruire relazioni umane dignitose fra i politici stessi (altrettanto spesso perchè ognuno difende, a torto o a ragione, gli interessi propri o della propria gente al fine di ottenere o mantenere il consenso).

E anche in tanti territori capaci di innovare le politiche, non si riesce ad innovare la politica e si rimane ostaggi di metodi faziosi che deteriorano anche il buono che viene fatto. Non esiste in definitiva la capacità di togliersi l’elmetto e di sentirsi capitani, o passeggeri, di una stessa nave che può ritrovare la rotta o naufragare miseramente con l’ultimo “si salvi chi può”.

Evapora la possibilità di poter sentire dire, così come mi ha detto quel volontario, “le divise si confondono” e vedere sciogliersi tutto in un unico grande progetto. L’Italia è stata capace di farlo quasi sempre solo nelle situazioni di emergenza o uscendo da devastanti conflitti. Bisognerebbe posare le inutili asce di guerra e ripartire da lì.

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