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Sme: assolto Silvio Berlusconi

Pochi minuti fa la sentenza: prescrizione e assoluzione per il premier. Tutte le tappe del processo

di Paolo Manzo

Prescrizione e assoluzione per Silvio Berlusconi. Si chiude cosi’, dopo nove anni, la vicenda che ha visto imputato il presidente del Consiglio per l’affare Sme. Tappa per tappa, ecco la storia dell’inchiesta e del processo appena conclusosi a Milano. Febbraio 1995: tutto comincia con Stefania Ariosto. E’ la bionda ‘confidente Olbia’, poi ‘teste Omega’ ad aprire uno dei capitoli piu’ controversi della storia giudiziaria italiana, in un continuo scontro tra la politica e la magistratura che, a quasi dieci anni dal suo avvio, non si e’ ancora chiuso. La compagna di Vittorio Dotti viene convocata dalla Guardia di Finanza di Milano per confermare la testimonianza resa dall’allora capogruppo di Forza Italia alla Camera in merito ad una parcella legata alla sua attivita’ professionale. Ma le sue dichiarazioni non si fermano qui. Tra esitazioni, appunti, agende e ricordi, Stefania Ariosto apre il capitolo ‘toghe sporche’ prima con i militari delle Fiamme Gialle poi, ufficialmente, come teste davanti ai magistrati milanesi ai quali riversa quel che le e’ stato raccontato e che sa di giudici romani, politici, avvocati e bustarelle. E parla, tra le altre cose, anche delle presunte dazioni versate per impedire, a suon di sentenze, a Carlo De Benedetti di acquistare la Sme. Le indagini prendono il via ufficiale tra la fine dell’estate e l’autunno del 1995. Nel gennaio del 1996 una cameriera di un bar romano, il ‘Tombini’, frequentato dal giudice Renato Squillante trova una microspia. L’ex capo dei gip romani, cosi’ come altri indagati, viene pedinato e ‘ascoltato’ fino a quando, il 2 marzo del 1996, due agenti dello Sco intercettano e trascrivono una sua conversazione con Francesco Misiani, allora magistrato in servizio a Roma, in un altro bar della capitale, il ‘Mandara’. Gli arresti scattano subito dopo, il 16 marzo: Squillante e l’avvocato romano Attilio Pacifico finiscono in manette. Li seguira’, ma per un altro ‘capitolo’ dell’inchiesta, cioe’ quello avviato sulla vicenda Imi-Sir, un altro legale, Renato Acampora, e un anno dopo Felice Rovelli. Anche Cesare Previti e’ tra gli indagati. Contro di lui il pool milanese invia al Parlamento, nel 1997, una richiesta di autorizzazione all’arresto, che la Camera respingera’. L’udienza preliminare per la Sme inizia nel novembre del 1998 davanti al gup Alessandro Rossato per terminare, dopo lunghi scontri tra accusa e difese, tutte giocate in un’aula a porte chiuse, un anno dopo, il 26 novembre del 1999. Quel giorno il gup decide il rinvio a giudizio di Silvio Berlusconi, Cesare Previti, Renato Squillante e Filippo Verde, il giudice della sentenza di primo grado della Sme. Tutti sono accusati di corruzione in atti giudiziari per alcuni versamenti esetero su estero transitati tra i conti degli indagati tra il 1988 e il 1989, cioe’ negli anni in cui la mancata vendita della Sme a De Benedetti veniva definitivamente chiusa in Cassazione. Ai primi versamenti, l’accusa ne aggiunge un terzo, piu’ ‘pericoloso’, del 1991, di 434.000 dollari. E a Silvio Berlusconi viene contestato anche il falso in bilancio. Davanti ai giudici della prima sezione penale del Tribunale di Milano finiscono anche i figli di Squillante, Mariano e Fabio, e la moglie di quest’ultimo, tutti accusati di favoreggiamento reale. Francesco Misiani, l”ultimo’ imputato, e’ accusato invece di favoreggiamento semplice. L’8 marzo del 2000, davanti al collegio presieduto da Luisa Ponti, ‘debutta’ il processo Sme. Ma l’avvio e’ faticoso e, ancora una volta, lunghissimo, scandito udienza dopo udienza da battaglie procedurali che inaspriscono i toni dell’accusa e delle difese prima ancora che si entri nel ‘vivo’ del caso con l’inizio degli interrogatori dei testi. Cosi’, tra questioni, udienze scadenzate anche per consentire lo svolgimento del processo parallelo, il ‘Lodo Mondadori- Imi Sir’, sospensioni feriali e quant’altro si arriva all’autunno del 2001, e alla prima legge che irrompe nelle aule dei processi milanesi, quella sulle rogatorie. Cesare Previti e’ il primo imputato, a Milano, a chiedere di applicare la nuova normativa sull’assistenza giudiziaria all’estero e a incalzare il collegio affinche’ le rogatorie finite nel fascicolo del dibattimento siano considerate inutilizzabili perche’ prive di quei requisiti formali richiesti dalla nuova legge. Ma il Tribunale respinge la richiesta. Cosi’, a fine novembre, il parlamentare di Forza Italia revoca il mandato ai suoi difensori di fiducia e ricusa i giudici. Ma anche questa richiesta sara’ respinta. Tra dicembre e gennaio un altro caso irrompe nell’aula della prima sezione penale e contrappone la magistratura alla politica: il ‘caso’ di Guido Brambilla, giudice a latere del collegio che, prima dell’inizio della ‘Sme’, aveva chiesto il trasferimento al Tribunale di Sorveglianza. La vicenda arriva nelle mani del ministro della Giustizia Roberto Castelli che a fine dicembre, in pieno clima natalizio, dispone che il giudice assuma immediatamente il nuovo incarico. L”ordine’ non e’ di poco conto: via Brambilla, il collegio decade e il processo, a quasi due anni dal suo inizio, deve ricominciare dall’inizio. Ma cosi’ non sara’. Il 10 gennaio del 2002 il presidente della Corte d’Appello di Milano Giuseppe Grecchi decide che Brambilla sia applicato a tempo pieno nel collegio del processo. Niente cumulo di incarichi, ne’ nuove mansioni, spiega il presidente, ma solo la necessita’ di salvaguardare il processo in corso. Il caso, alla fine, finira’ davanti ai giudici della Corte Costituzionale. Nel gennaio del 2002 il ‘clima’ attorno alle aule milanesi si fa sempre piu’ carico. All’inaugurazione dell’anno giudiziario il Procuratore Generale Francesco Saverio Borrelli, ormai prossimo alla pensione, invita i colleghi a ”resistere, resistere, resistere”. E, alla fine di febbraio, una manifestazione al Palvobis saluta e festeggia il decimo anniversario di ‘Mani Pulite’ e propone slogan e attacchi contro il governo, in particolare contro i due imputati eccellenti, Silvio Berlusconi e Cesare Previti. L’esito e’ nelle cose: il leader di Forza Italia e il parlamentare, primi tra tutti gli imputati che li seguiranno ‘a ruota’, depositano una richiesta di rimessione del processo al altra sede per ”gravi situazioni locali”. Nelle richieste di rimessione degli imputati ci finisce di tutto: dalle perquisizioni fatte alla Fininvest alle riunioni tenute in procura, dalle esortazioni di Borrelli agli slogan del Palavobis. Intanto, mentre il processo procede a fatica, il Parlamento vara la nuova normativa sul falso in bilancio. E per il procedimento in corso si ‘apre’ la strada verso il primo importante stralcio. Il 22 maggio, dopo una lunghissima Camera di Consiglio, i giudici decidono di stralciare la posizione del premier per il solo reato di falso in bilancio, quello che la procura gli contesta per presunti fondi neri utilizzati all’estro per pagare tangenti a magistrati. Il primo stralcio sara’ rinviato di li’ a tre mesi, e cioe’ al 19 luglio, cosi’ da far trascorrere quel periodo previsto dalla nuova legge per consentire la presentazione di una eventuale quanto, nel caso specifico, improbabile querela di parte. Il 31 maggio le Sezioni Unite della Cassazione esaminano le istanze di rimessione degli imputati milanesi. Ma non si arriva ad una conclusione. La Suprema Corte, in sintesi, verifica il ‘vuoto legislativo’ sul legittimo sospetto, giudica la questione formulata dagli imputati ”rilevante”, e passa ‘la mano’ alla Corte Costituzionale. I processi milanesi possono andare avanti, mentre a Roma si lavora ad un testo di legge teso a ‘ripristinare’ il legittimo sospetto in materia di rimessione. Il nuovo testo, che precisa e amplia le condizioni per le quali e’ doveroso spostare un processo dalla sua sede naturale, viene approvato dal Senato il 1 agosto del 2002, mentre in aula l’opposizione grida allo scandalop e i girotondini assediano Palazzo madama. Ma inutilmente: dopo tre altri tormentati passaggi il testo diventa legge, la ‘legge Cirami’, il 5 novembre dello stesso anno. Intanto Perugia entra ‘a gamba tesa’ a Milano. In una calda giornata di giugno, mentre nell’aula della prima sezione penale sta testimoniando l’ex ministro delle Partecipaziooni Statali Clelio Darida, due militari bussano alla porta della cancelleria della Procura e del Tribunale. Hanno l’ordine di sequestrare la cassetta dell’intercettazione effettuata il 2 marzo del ’96 al bar Mandara, e gli appunti scritti a mano dal poliziotto che ascolto’ il colloquio tra Squillante e Misiani, quel giorno seguiti e intercettati. Nel capoluogo umbro e’ in corso un’inchiesta sulla presunta manomissione di quel nastro. Un’indagine che vede indagati proprio i due poliziotti dello Sco e, parti offese, Berlusconi, Previti e Squillante. L’iniziativa di Perugia, dove si dira’ che la cassetta del bar Mandara e’ una copia manipolata e non l’originale, fornisce alle difese di Berlusocni e Previti motivi per chiedere un nuovo stop del processo dal momento che, si sostiene in aula, ”una prova importante del fascicolo e’ sotto sequestro”. Invece si va avanti. Ma il clima e’ sempre piu’ teso. Cosi’, mentre i lavori processuali procedono tra gli scontri che, ormai, sono all’ordine del giorno, due episodi separano ancora di piu’ le parti. Il primo e’ l’iniziativa di Cesare Previti che, a sorpresa, chiede di conoscere i nominativi di tutti i magistrati iscritti alla corrente di Magistratura Democratica. A spanne, circa 700 persone tra pubblici ministeri e giudici di merito. Il secondo episodio riguarda le sorti della rimessione chiesta dagli imputati. Il 7 agosto 2002, infatti, la Corte Costituzionale rimanda al mittente, cioe’ alla Cassazione, l’incartamento per un difetto di notifica. Un ‘incidente’ che puo’ capitare, certo, ma che in questop caso sposta in la’ nel tempo la decisione sulla costituzionalita’ dell’articolo 45, al quale sembrano legate le sorti dei due processi milanesi. Dopo un’estate ‘calda’, arriva ad una svolta il processo stralcio sul falso in bilancio avviato per il solo Silvio Berlusconi. Alla ripresa dei ‘lavori’ in aula il pm Gherardo Colombo attacca la nuova legge e chiede ai giudici di inviare gli atti alla Corte Europea di giustizia affinche’ valuti la mancata adesione della normativa italiana ai dettami Ue. Un attacco che suscita la reazione immediata dei difensori del premier. Ma i giudici decidono: si va davanti alla Corte Europea. Berlusconi reagisce e ricusa il Tribunale. Ma ormai e’ fatta. Intanto, il 18 novembre, la Consulta decide: la questione di legittimita’ costituzionale sollevata dalla Cassazione sull’articolo 45 del Codice di procedura Penale, nella parte in cui non prevede il legittimo sospetto, ”e’ infondata”. Il verdetto e’ importante, ma ormai inifluente. La legge Cirami, ormai, e’ stata votata e la pronuncia della Corte Costituzionale e’ di fatto gia’ superata. La questione torna cosi’ nelle mani delle Sezioni Unite che fissano la data della discussione. E a Milano i processi si fermano. Il 27 gennaio del 2003 viene definito, fin dall’inizio, il giorno piu’ lungo di Mani Pulite. E’ il giorno in cui le Sezioni Unite della Cassazione affrontano le richieste di rimessione dei processi milanesi presentate da imputati illustri. Dopo una giornata e mezzo di discussione, il verdetto, per nulla scontato dopo la Cirami, e’ decisivo: i processi restano a Milano. I novi magistrati delle Sezioni Unite presiedute da Nicola Marvulli rigettano le istanze di trasferimento perche’ ”non ci sono gravi situazioni locali”. La reazione e’ durissima. Silvio Berlusconi parla di un esito scontato perche’ ”la partita e’ truccata” e accusa la Cassazione di aver emesso una ”decisione politica”. Il centrodestra fa quadrato e arriva a dire, come fa Gaetano Pecorella, presidente della Commissione Giustizia della Camera oltre che difensore del premier a Milano, che ”avere ancora fiducia nella magistratura dopo il susseguirsi di vicende che rasentano l’irreale e il fantastico e’ difficile”. Intanto, a Milano, si puo’ riprendere. Nelle aule tornano a riunirsi le parti dopo una lunga pausa, e si fanno i calendari che, in ossequio al principio della ragionevole durata del processo, diventano piu’ incalzanti. L’attenzione si sposta sulle deposizioni spontanee che il Presidente del Consiglio annuncia di voler fare nell’aula della Sme. Che fa una prima volta, ai primi di maggio, ma che ”impegni istituzionali” lo costringono a rinviare di continuo nelle udienze successive. Cosi’, tra un rinvio e l’altro del processo, scandito dalle agende del premier per i suoi impegni in Italia e all’estero che gli rendono impossibile presentarsi per nuove a annunciate dichiarazioni spontanee, si arriva ad un nuovo stralcio, il ‘secondo’, il piu’ importante. Il 16 maggio il collegio presieduto da Luisa Ponti, alla vigilia della requisitoria del pm Ilda Boccassini, stralcia la posizione di Silvio Berlusconi anche per l’accusa di corruzione in atti giudiziari. Si procedera’ su ‘binari paralleli’, decidono i giudici, fino a quando sara’ possibile. Almeno fino a quando l’annunciata approvazione del Lodo Maccanico, che prevede la sospensione dei processi per le cinque cariche piu’ alte dello Stato, non fermera’ quello per il premier. La nuova separazione viene accolta con ‘gelo’ dalla politica, con fastidio dalle parti in causa, e con una evidente contrarieta’ del pm. Ma il rischio di uno stallo della giurisdizione, argomenta il collegio, impone questo passo. Il 17 giugno 2003 Silvio Berlusconi torna in aula per una serie di dichiarazioni spontanee che presto si trasformano in un’offensiva a tutto campo. Il Premier attacca Carlo De benedetti e legge una lettera dell’ex ministro socialista Francesco Forte nella quale si dice che Bettino Craxi gli riferi’ di una ”robusta dazione di denaro” data dall’ingegnere alla Dc in occasione delle elezioni del 1983. Cosi’, sostiene il leader di Forza Italia in aula, ”De Benedetti voleva acquistare la Sme, come Toto’ il Colosseo”. Il Presidente del Consiglio attacca duramente anche Stefania Ariosto, che definisce ”una mitomane che ha mentito su tutto”. E chiede che si indaghi sul fascicolo 9520/95, un contenitore, dice ”senza morto, senza arma del delitto e senza movente, cioe’ una mia motivazione ad aggiustare qualsiasi processo”. Non solo. Il leader di Forza Italia punta il dito contro le ”prove inquinate” come la cassetta dell’intercettazione fatta al bar Mandara tra Renato Squillante e Francesco Misiani, e annuncia che le sue non saranno le ultime dichiarazioni che intende rendere davanti ai giudici”. A fine giugno la nuova legge sull’immunita’, quella che sospende i processi avviati nei confronti delle cinque cariche piu’ alte dello Stato, ‘chiude il sipario’ sul procedimento milanese in corso per il solo Silvio Berlusconi. In aula l’accusa si oppone e sollecita un ricorso alla Corte Costituzionale. Richiesta accolta dai giudici che, con una lunga ordinanza, investono i ‘colleghi’ della Consulta della vicenda. Intanto tutto si sospende ugualmente. Ad andare avanti e’ ‘solo’ il procedimento principale che il 22 novembre 2003 vede la condanna di Cesare Previti, Attilio Pacifico e Renato Squillante. Per Berlusconi i ‘giochi’ si riaprono il 13 gennaio 2004 quando la Consulta boccia il Lodo Schifani senza possibilita’ d’appello, affermando che la legge votata viola i principi di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e il diritto di difesa sanciti dalla Carta Costituzionale. Il processo stralcio sulla Sme puo’ riprendere, ma davanti ad altri giudici, e per il solo premier. Pronunciando un verdetto nei confronti dei ‘coimputati’, infatti, il ‘vecchio’ collegio si e’ gia’ espresso sulla vicenda ed e’ ormai incompatibile. A Milano, comunque, Francesco Castellano, il presidente della prima sezione penale davanti al quale si riunira’ di nuovo il procedimento, non ci mette molto a decidere la data per la ripresa dei lavori: il 16 aprile. In aula, ad aprile, il ‘clima’ cambia. Ad ‘attaccare’ non sono piu’ le difese, ma accusa e parti civili che, fin dalle prime battute, chiedono al presidente Castellano di astenersi. Il giudice, sostengono, e’ ‘sospetto’ quantomeno per un paio di interviste rilasciate che ‘suonano’ come di parte politica. Ma il collegio respinge. Si inizia. E si riprende con una serie di richieste testimoniali e documentali presentate dagli avvocati del Presidente del Consiglio, tra i quali compaiono anche ex coimputati eccelenti come Cesare Previti e Renato squillante, ormai gia’ giudicati. Il Tribunale accoglie le richieste e riapre in parte un dibattimento che per l’accusa era gia’ chiuso da un pezzo. In aula sfilano per alcune udienze i testimoni. Almeno fino al 16 maggio quando i giudici decidono una sospensione dei ‘lavori’ per le elezioni. Per il collegio non ci sono dubbi: ”la qualita’ di capolista del gruppo politico di appartenenza consente di accordare priorita’ all’espletamento dell’attivita’ inerente a suddetto ruolo rispetto alla partecipazione al giudizio in corso”. E, nonostante le proteste dell’accusa, si va al 18 giugno, quando tornera’ in aula Cesare Previti. I ‘lavori’ proseguono. Non piu’ serrati come con il procedimento principale. Non piu’ cosi’ contrastati. Fino alla nuova sospensione ‘per ferie’. Il 16 luglio il processo si chiude per l’ennesima volta dopo che le parti hanno presentato le loro richieste di ultime prove, tutte documentali per il pm Ilda Boccassini, anche testimoniali per i legali del premier. Quel che decidera’ il Tribunale lo si sapra’ solo alla ripresa, il 24 settembre, quando i giudici ammetteranno quattro nuovi testimoni e una serie di sentenze chieste dall’accusa. Il 12 novembre Ilda Boccassini ‘tira le sue conclusione’ in aula. E per Silvio Berlusconi chiede una condanna ad otto anni di reclusione e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. A ‘rincarare’ la dose ci penseranno le parti civili che, il 19 novembre, faranno le loro richieste risarcitorie: un milione di euro per la Presidenza del Consiglio, quattro miliardi e mezzo di euro per la Cir. Il 3 dicembre tocca ai legali del premier parlare per chiedere l’assoluzione con formula piena del ‘cittadino’ Silvio Berlusconi. Oggi la sentenza: prescrizione e assoluzione per il premier.


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