Welfare

Smart worker, la nuova via del lavoro dipendente

Sono ormai 305.000, l’8% del totale dei lavoratori, e sono destinati a crescere. Tanto che sempre più le grandi aziende aprono a queste nuove forme. La ricerca dell'Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano ha fotografato il fenomeno e premiato le migliori iniziative

di Lorenzo Maria Alvaro

È stata approvata la legge sul Lavoro Agile, cresce il dibattito sul tema, continuano le sperimentazioni tra le imprese: nel 2017, lo Smart Working in Italia ormai rappresenta una realtà. Aumenta del 14% rispetto al 2016 (e del 60% rispetto al 2013) il numero dei lavoratori che godono di autonomia nella scelta delle modalità di lavoro in termini di luogo, orario e strumenti utilizzati: gli Smart Worker sono ormai 305.000 – l’8% del totale dei lavoratori – e si distinguono per maggiore soddisfazione per il proprio lavoro e maggiore padronanza di competenze digitali rispetto agli altri lavoratori.

Cresce l'adozione dello Smart Working tra le grandi imprese: il 36% ha già lanciato progetti strutturati (il 30% nel 2016), ben una su due ha avviato o sta per avviare un progetto, ma le iniziative che hanno portato veramente a un ripensamento complessivo dell’organizzazione del lavoro sono ancora limitate e riguardano circa il 9% delle grandi aziende. Anche tra le PMI cresce l’interesse, sebbene a prevalere siano approcci informali: il 22% ha progetti di Smart Working, ma di queste solo il 7% lo ha fatto con iniziative strutturate; un altro 7% di PMI non conosce il fenomeno e ben il 40% si dichiara “non interessato” in particolare per la limitata applicabilità nella propria realtà aziendale. Nella Pubblica Amministrazione solo il 5% degli enti ha attivi progetti strutturati e un altro 4% pratica lo Smart Working informalmente, ma a fronte di una limita applicazione c’è un notevole fermento, con il 48% che ritiene l’approccio interessante, un ulteriore 8% che ha già pianificato iniziative per il prossimo anno e solo il 12% che si dichiara non interessato.

Lo Smart Working è una realtà, ma quel che si vede è solo la punta dell'iceberg: sono ancora pochi i progetti di sistema che ripensano i modelli di organizzazione del lavoro e estendono a tutti i lavoratori flessibilità, autonomia e responsabilizzazione. Eppure, i benefici economico-sociali potenziali sono enormi: l'adozione di un modello “maturo” di Smart Working per le imprese può produrre un incremento di produttività pari a circa il 15% per lavoratore, che a livello di sistema Paese significano 13,7 miliardi di euro di benefici complessivi. Per i lavoratori, anche una sola giornata a settimana di remote working può far risparmiare in media 40 ore all'anno di spostamenti; per l'ambiente, invece, determina una riduzione di emissioni pari a 135 kg di CO2 all’anno.

Sono alcuni dei risultati della ricerca dell'Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, presentata oggi al Campus Bovisa al convegno "Smart Working: sotto la punta dell'Iceberg". «Sotto la superficie dello Smart Working così come oggi lo conosciamo c’è una grande opportunità di contribuire a ripensare il lavoro del futuro per rendere imprese e pubbliche amministrazioni più produttive e intelligenti, lavoratori più motivati e capaci di sviluppare talento e passioni, una società più giusta, sostenibile e inclusiva», ha spiegato Mariano Corso, responsabile scientifico dell'Osservatorio Smart Working. «I benefici dello Smart Working per imprese, lavoratori e società sono troppo importanti per potersi permettere di non sviluppare immediatamente un piano di interventi volto ad accompagnare e incentivare un fenomeno in grado di dare nuovo slancio al sistema Paese».

«C'è ancora molto da fare per rendere lo Smart Working un’occasione di cambiamento profondo della cultura organizzativa», ha aggiunto Fiorella Crespi, direttore dell'Osservatorio Smart Working. «Occorre pensare a modalità di lavoro innovative anche per la maggioranza dei lavoratori esclusi, soprattutto nelle PMI e nelle pubbliche amministrazioni, dove, nonostante gli apprezzabili sforzi a livello normativo, la diffusione dello Smart Working è tutt’altro che incoraggiante. Le azioni di sistema portano a sperare ad un cambio di passo per il prossimo anno, in cui lo Smart Working possa rivelarsi un’occasione di rilancio per tanti lavoratori».

La ricerca

Gli Smart Worker
Il numero degli Smart Worker è aumentato rispetto al 2016 e oggi interessa l’8% del totale dei lavoratori della popolazione considerata. Nel complesso si stimano 305.000 Smart Worker nel nostro Paese: lavoratori dipendenti che possono flessibilmente scegliere le proprie modalità di lavoro, in termini di luogo, orario e strumenti utilizzati. Il fenomeno tocca per ora principalmente il settore privato e in particolare la grande impresa, ma non è estraneo ai lavoratori della pubblica amministrazione che rappresentano il 17% dei lavoratori agili complessivi, una quota destinata a crescere grazie alla direttiva della riforma Madia della PA, che punta a coinvolgere almeno il 10% dei dipendenti di ciascuna organizzazione pubblica entro tre anni in progetti di Smart Working o di flessibilità nell’organizzazione del lavoro.

Il 31% degli Smart Worker dichiara di lavorare in un’organizzazione che ha progetti strutturati di Smart Working; la restante parte in contesti in cui non è formalizzato oppure gode di forme di flessibilità legate al proprio ruolo. Rispetto agli altri lavoratori, gli Smart Worker sono caratterizzati da un’elevata mobilità nei luoghi di lavoro: trascorrono mediamente solo il 67% del tempo lavorativo in azienda, contro l’86% degli altri. Inoltre sono sempre meno legati a una singola postazione: diminuisce rispetto l’anno passato il tempo dedicato al lavoro fisso alla propria postazione (39%) a favore di quello svolto da altre postazioni all’interno delle sedi di lavoro (15%) o in altre sedi della propria azienda (13%), per la restante parte del tempo gli Smart Worker lavorano in luoghi esterni alla propria azienda (presso clienti o fornitori, a casa o in spazi di coworking).

Rispetto alla media dei lavoratori gli Smart Worker sono più soddisfatti del proprio lavoro: soltanto l’1% degli Smart Worker si ritiene insoddisfatto nel complesso (contro il 17% degli altri lavoratori), il 50% è pienamente soddisfatto delle modalità di organizzare il proprio lavoro (22% per gli altri), il 34% ha un buon rapporto con i colleghi e con il capo (16% per gli altri). Inoltre, gli Smart Worker ritengono di avere una più adeguata padronanza di competenze soft relazionali e comportamentali legate al digitale (Digital Soft Skills), che consentono alle persone di utilizzare efficacemente i nuovi strumenti digitali per migliorare produttività e qualità delle attività lavorative. In particolare, gli Smart Worker hanno una superiore capacità di collaborare efficacemente in team virtuali esercitando una leadership: solo l’1% ritiene di non avere sviluppato in maniera soddisfacente questo tipo di skill, a fronte del 27% degli altri lavoratori.

I benefici dello Smart Working
Miglioramento della produttività, riduzione dell’assenteismo e abbattimento dei costi per gli spazi fisici sono i principali benefici ottenibili dall’introduzione dello Smart Working nelle aziende. L’Osservatorio stima l’incremento di produttività per un lavoratore derivante dall’adozione di un modello “maturo” di Smart Working nell’ordine del 15%. Proiettando l’impatto a livello complessivo di sistema Paese, considerando che sulla base della tipologia di attività che svolgono i lavoratori che potrebbero fare Smart Working sono almeno 5 milioni e che attualmente gli Smart Worker sono 305.000, l’effetto dell’incremento della produttività media del lavoro in Italia, ipotizzando che la pervasività dello Smart Working possa arrivare al 70% dei lavoratori, si può stimare intorno ai 13,7 miliardi di euro.

I vantaggi per i lavoratori si misurano anche in termini di riduzione dei tempi e costi di trasferimento, miglioramento del work-life balance e aumento della motivazione e della soddisfazione. Si può stimare, ad esempio, che il tempo medio risparmiato da uno Smart Worker per ogni giornata di lavoro da remoto sia di circa 60 minuti; considerando che ciascuno faccia anche solo una giornata a settimana di remote working il tempo risparmiato in un anno è dell’ordine di 40 ore per Smart Worker.

Le grandi imprese
Oltre la metà delle grandi imprese ha già o sta per lanciare iniziative più o meno strutturate di Smart Working. Il 36% del campione dichiara progetti strutturati (che riguardano cioè almeno due delle leve di progettazione tra flessibilità di luogo, di orario, ripensamento spazi, cultura orientata ai risultati e dotazione tecnologica adeguata per lavorare da remoto). Per il 7% lo Smart Working è presente in modo informale; il 9% del campione intende introdurlo nei prossimi 12 mesi; tutte le grandi imprese interpellate conoscono il fenomeno; solo il 13% non lo ritiene di interesse o di non sapere se verrà adottato nella propria realtà. Tuttavia, soltanto nel 26% dei casi in cui le aziende hanno progetti strutturati, lo Smart Working può ritenersi maturo e coinvolge una percentuale rilevante dei lavoratori. Lo Smart Working come ripensamento complessivo dell’organizzazione del lavoro, che riguarda anche lo sviluppo di nuovi strumenti e competenze digitali e la diffusione di modelli manageriali basati su autonomia e responsabilizzazione sui risultati, tocca appena il 9% delle grandi aziende presenti in Italia. Positivo il trend per i prossimi tre anni: la gran parte delle organizzazioni con un progetto strutturato di Smart Working prevede di concentrarsi sull’estensione dell’accesso alle iniziative esistenti a più persone all’interno dell’azienda (74%), sullo sviluppo di nuove forme di Smart Working per figure professionali che attualmente non lo possono praticare (63%) e sulla diffusione di una cultura basata sulla definizione di obiettivi, la responsabilizzazione sui risultati e la valutazione delle performance (63%).

«Tra i principali obiettivi di evoluzione dei progetti di Smart Working maturi c'è quello di traghettare le organizzazioni verso una cultura del lavoro meno legata al presenzialismo e più volta al risultato, una 'Result Based Organization'», ha chiarito Corso, «Le organizzazioni che hanno progetti strutturati di Smart Working hanno compreso la necessità di basare il lavoro sulla valutazione del risultato e in un numero crescente di organizzazioni esistono forme di valutazione dell'andamento dei progetti. Purtroppo, esclusi i casi evoluti, il rischio è quello di fermarsi solo all'effetto 'moda', anche per i limiti nella cultura manageriale delle imprese nel nostro paese».

Le PMI
Nelle PMI lo Smart Working è ancora un fenomeno emergente. Il 7% dichiara di avere iniziative strutturate di Smart Working, il 15%, pur non avendo iniziative strutturate, lavora di fatto informalmente in questo modo, il 3% prevede di lanciare un’iniziativa entro i prossimi 12 mesi e il 12% è in generale possibilista in merito all’introduzione. Le motivazioni principali che guidano l’interesse delle piccole e medie organizzazioni verso lo Smart Working sono il miglioramento della produttività e della qualità del lavoro (67%), del benessere organizzativo (27%) e della conciliazione tra vita privata e professionale (16%). Tuttavia il 40% non è interessato all’introduzione dello Smart Working: si tratta soprattutto di aziende che operano nei settori manifatturiero (33%), costruzioni/riparazioni/installazioni (17%), commercio (15%) e hospitalty & travel (15%). La motivazione principale è la limitata applicabilità nella loro realtà, come dichiara il 53% delle aziende, seguita dal disinteresse da parte del management (11%) e dal limitato grado di digitalizzazione dei processi (7%).

La pubblica amministrazione
Nonostante gli apprezzabili sforzi a livello normativo (l’approvazione della legge, le iniziative del Dipartimento Pari Opportunità e la direttiva della riforma Madia), lo Smart Working nella Pubblica Amministrazione è solo all'inizio. Solo il 5% delle pubbliche amministrazioni italiane coinvolte nella ricerca ha progetti strutturati di Smart Working, mentre un altro 4% dice di praticarlo informalmente. A differenza di quanto avviene nelle PMI sono in pochi a non conoscere per nulla il concetto di Smart Working (3%) e quasi la metà del campione (48%) dichiara interesse per una prossima introduzione. Al tempo stesso, il 32% delle pubbliche amministrazioni ammette esplicitamente assenza di interesse o di non sapere se sarà introdotta in futuro. Le motivazioni principali sono la percezione che non si possa applicare alla propria realtà (66%), la percezione di carenze di normativa o regolamentazione sul tema (27%) o il limitato livello di digitalizzazione dei processi (18%).

«Come nel settore privato, nel pubblico sono gli enti di maggiori dimensioni i più propensi a approcciare questo nuovo modo di lavorare: il 67% degli enti che dichiara di avere già iniziative, formali o informali o di volerle introdurre entro i prossimi 12 mesi, occupa oltre 100 addetti», chiarisce Corso. «Le iniziative presenti, però, molto spesso sono in fase sperimentale e vedono il coinvolgimento di una popolazione molto contenuta, di solo poche unità. Il gap maggiore con la grande impresa si riscontra nell’adeguatezza di dotazione tecnologica per il lavoro da remoto solo per il 58% degli enti pubblici ha una dotazione adeguata, contro l’88% delle grandi aziende».

Le tecnologie digitali
La disponibilità di tecnologie digitali è una condizione necessaria per permettere alle persone di svolgere il proprio lavoro anche da remoto. Nelle grandi organizzazioni, a prescindere dalla presenza di un progetto di Smart Working, le tecnologie che supportano il lavoro da remoto sono già diffuse: in modo particolare le soluzioni a supporto della sicurezza e dell’accessibilità dei dati da remoto e da diversi device (95%) e device mobili e mobile business app (82%). Molto spesso sono presenti servizi di social collaboration integrati a supporto della collaborazione e della condivisione della conoscenza (61%), mentre meno diffuse sono le workspace technology che permettono un utilizzo più flessibile degli ambienti, agevolando il lavoro in mobilità all’interno delle sedi aziendali (36%).

«Resta inadeguata invece la capacità di utilizzo delle tecnologie tra i lavoratori», ha aggiunto Crespi, «per questa ragione oltre che sull'introduzione degli strumenti digitali è fondamentale agire sullo sviluppo di Digital Skills, comprese quelle di natura soft e non legate ai singoli strumenti. I CIO e gli IT executive evidenziano come la competenza prioritaria da sviluppare sia la capacità di ripensare prodotti, processi e attività lavorative utilizzando nuovi strumenti e canali digitali, insieme alla capacità di collaborare in team virtuali, esercitando una leadership adeguata al contesto digitale».

Smart Working Award 2017
In occasione del convegno, sono stati assegnati gli “Smart Working Award” 2017”, il premio dell'Osservatorio per le aziende che si sono distinte per capacità di innovare le modalità di lavoro in ottica Smart Working. “Lo Smart Working Award – ha concluso Crespi – dal 2012 ha l'obiettivo di sostenere la cultura dell’innovazione nello Smart Working, generando un meccanismo virtuoso di condivisione delle esperienze di eccellenza e dando visibilità alle iniziative di maggior successo”.

Vincono lo Smart Working Award 2017 AXA Italia per il progetto “Smart working, smart life”, CNH Industrial per “Lavoro da Casa”, Costa Crociere per “Sm@rt Working Costa – Moving Forward!”, Generali Italia per “New Ways Of Working” e Hilti per “Smart Working@Hilti”. Menzione speciale a Benetton per il progetto “Stretch your Time”.

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