Non profit

Sky, la tv all’occupazione della vita

L'editoriale di Giuseppe Frangi sul fenomeno costituito dalla nascita della nuova pay tv di Murdoch.

di Giuseppe Frangi

Non so voi, ma io sono uno dei tanti italiani che ha ceduto alle lusinghe di Sky (per ragioni di fede calcistica). Formula da 32 euro al mese, più 7 per il noleggio del decoder. In tutto fanno 39. Ma in tempi d?inflazione galoppante (anzi strisciante) e di carovita alle stelle, questa non è voce di spesa sproporzionata. Con quei 39 euro sul video di casa ti trovi di tutto e di più; una sovrabbondanza di canali che solo a farli passare tutti ti passa la serata. Canali per tutti i gusti, per tutte le età, per tutti i sessi. Tanti canali anche politically correct, che sfornano documentari adatti a ogni sensibilità. E poi informazione a tutto spiano, a tutte le ore in tutte le lingue. Informazione autoprodotta o ritrasmessa dalle più note emittenti del mondo (non solo occidentale). Insomma, per una cifra tutto sommato non scandalosa, sullo schermo di casa si riversa un?offerta in grado di ubriacare chiunque. Chi ci mette a disposizione tutto questo? E perché? Ci fosse ancora un po? di antica e sana malizia avremmo letto qualche velenosa dietrologia sulla stampa, che pur in gran parte è ben allenata a far giustamente le pulci al presidente del Consiglio. Invece nulla. Lo stesso grande quotidiano che bombarda Berlusconi, ha dedicato pagine e pagine (gratuite?) a spiegare, il mese scorso, agli sperduti consumatori come transitare dalla piattaforna della defunta pay tv, alla nuova, imperdibile Sky di mister Murdoch. E quando un?altra testata di consolidata storia di opposizione come l?Espresso, ha dedicato all?invasione dei 100 canali la sua copertina, abbiamo scoperto che lo ha fatto tirando questa morale: “Un sasso lanciato in uno stagno (quello della tv italiana, ndr) genera comunque un?onda”. Insomma, benvenuta Sky. Eppure qualche peccatuccio il signor Murdoch ce l?ha pur sulla coscienza. In Francia, ad esempio, ha una controversia aperta con i vecchi padroni di Canal plus, che lo accusano di aver messo in giro le tessere pirata che hanno piegato definitivamente le gambe a quella pay tv. Per non parlare poi dei problemi di antitrust, che un monopolista come Murdoch dovrebbe pur avere: chi tentava di abbonarsi a Giococalcio, la pay tv nata per rispettare le apparenze nella spartizione delle squadre di serie A, si sentiva rispondere i call center di Sky? Ma sin qui siamo alle solite, piratesche storie di capitalismo senza regole; quelle stesse che 30 anni fa accompagnarono la crescita della tv privata in Italia e l?affermarsi della stella di Berlusconi. E allora cosa c?è di nuovo e di diverso? C?è che, in questo caso, la partita economica è in secondo piano rispetto a quella dell?occupazione del tempo, del cervello, e dei sogni degli italiani. Una tv non generalista, che ognuno può indossare come il vestito che ha sempre desiderato o che più gli fa comodo; una tv che non ti dà la sensazione di essere omologato ma ti illude di conservare una tua diversità. è la tv invasiva, che arriva là dove i tessuti sociali si dissolvono. Che diverte e distrae, togliendo la fatica e la bellezza di pensare. Che ci riempie di tante parole, quante quelle che non siamo più in grado di pronunciare. Una tv che assomiglia molto a un grande sonno. Spegniamola, per favore. Ps: C?è un maestro che in queste circostanze andrebbe sempre ricordato, Pierpaolo Pasolini. Una volta Enzo Biagi lo aveva portato davanti ai riflettori tv per un?intervista. Gli aveva dato carta bianca, per vincere le sue riserve. “Ma parli, dica ciò che vuole”, insisteva Biagi. E lui, dopo una lunga pausa: “Potrei essere processato per quel che dico, ma il dramma più grande è che il pubblico a casa non mi capirebbe. Parlano la lingua della tv”. è stato Marco Paolini a ricordare questo episodio, uno che è ben consapevole di quali sentieri striscianti percorra l?omologazione. E che in tv si sente un ospite scomodo.


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