Cultura
SJ. Operazione fundraising
L'impresa sociale e la sostenibilità economica: come superare la dipendenza dagli enti pubblici
di Luca Zanfei
Formalmente deve ancora nascere, eppure l?impresa sociale si trova già ad affrontare il nodo dell?autonomia dagli enti pubblici. Il graduale impoverimento degli enti locali in termini di contenuti e risorse economiche e la mancanza di un pacchetto strutturato di incentivi aprono una riflessione profonda sulla reale autosostenibilità del settore.
D?altronde, anche l?ultimo censimento dell?Istat sulle cooperative sociali rivela un aspetto critico. Dice l?istituto di statistica: lo sviluppo economico del settore, seppur imponente e progressivo, è quasi totalmente appannaggio di poche grandi imprese, operanti nel Nord del Paese e in contesti in cui il rapporto con il mercato privato è più strutturato. Il dato conferma una tendenza già riscontrata dalle precedenti rilevazioni, e dà il senso di un cortocircuito preoccupante: le convenzioni e il finanziamento del pubblico di certo garantiscono la sopravvivenza di molte cooperative ma contemporaneamente ne congelano lo sviluppo.
«L?inadeguatezza del finanziamento pubblico ha ripercussioni soprattutto sul personale sia in senso quantitativo che qualitativo, ma anche sulle strutture e i mezzi, nonché sul management generale sempre più costretto a limitare gli investimenti per il miglioramento della qualità», spiega Massimo Coen Cagli, direttore della Scuola di fundraising di Roma. Considerate le difficoltà e le reali opportunità valoriali di aggredire massicciamente il mercato, la soluzione va ricercata da un?altra parte. Allora, «sorge automatica l?esigenza di avviare e sperimentare alcune radicali innovazioni sociali», sottolinea Gian Paolo Barbetta, dell?università Cattolica di Milano. «In tal senso può essere ritenuto innovativo ciò che è tendenzialmente autosostenibile, cioè che non dipende strettamente dal pubblico? Si tratta di un passaggio cruciale».
Una prima analisi condotta da Federsolidarietà sui dati del 5 per mille evidenzia come anche le cooperative sociali siano decisamente coinvolte nel fenomeno delle donazioni. Si tratta soprattutto di piccole organizzazioni che riescono a mantenere un contatto diretto con la comunità e il territorio, impostando partnership anche con soggetti diversi.
Forse è il caso di partire da qui. «Il ragionamento per la futura impresa sociale deve necessariamente fondarsi sul rapporto stretto con la realtà in cui si opera», spiega Coen Cagli. «Come nel caso della cooperazione, anche per questa nuova forma giuridica deve cambiare l?ottica tradizionale di fundraising. Si deve impostare la raccolta fondi su una strategia di sviluppo sociale che coinvolga tutti gli attori del territorio». Coen Cagli si spinge oltre e teorizza una linea di azione. «Per prima cosa si deve investire sulla comunicazione sociale, non solo tramite campagne, ma anche favorendo il contatto con i cittadini», spiega. «La questione più importante sarebbe quella di aprire un tavolo progettuale con i diversi attori coinvolti, trasmettendo l?idea che non si tratta di finanziare una singola realtà, ma che si sta lavorando per la sostenibilità del welfare futuro».
Teoria condivisa anche da Leonardo Becchetti, docente all?università Tor Vergata di Roma. «La creazione di una rete strutturata, oltre ad un vantaggio in termini progettuali, ha l?importanza di ridurre l?asimmetria informativa nei confronti delle banche possibili erogatrici di fondi», aggiunge. «Il monitoraggio del territorio è di per sé una garanzia di solvibilità. Certo, oltre a questo gli istituti di credito devono essere attratti da un valore strategico dell?attività finanziabile, altrimenti si fa spazio il ruolo delle fondazioni. In tal senso però bisogna lavorare su una diversa sensibilità anche da parte di questi istituti. Soprattutto le fondazioni dovrebbero superare la visione politica del finanziamento per investire invece sulla progettazione e sul monitoraggio dei servizi. Anche per le banche ci dovrebbe essere una visione prospettica che non guarda solo al tornaconto immediato, ma ragiona sul benessere socio-economico della collettività e quindi anche sulla stessa governance interna. Banca Etica e Banca Prossima hanno queste caratteristiche e infatti non sono quotate in Borsa. Forse è da qui che bisogna partire».
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