Welfare

SJ. Così possiamo vincere la sfida del mercato

L'inserimento lavorativo può diventare vero business

di Luca Zanfei

Che il mercato della cooperazione sociale di inserimento lavorativo non sia costruito solo sul rapporto con il pubblico è sempre più un?evidenza. Da anni l?Istat descrive una realtà flessibile e molto vicina alle dinamiche competitive, che fattura oltre 400 milioni di euro (più del 40% del totale) di commissioni dal privato, con una crescita dell?11% rispetto al 2001 (anno della prima rilevazione). Ma l?istituto di ricerca offre un?ulteriore lettura del fenomeno: sarebbe proprio lo sviluppo economico della tipologia B a influire maggiormente sull?attuale successo di tutta la cooperazione sociale. Sembra lentamente assottigliarsi, dunque, il legame con la pubblica amministrazione, mentre si apre una riflessione sulle future opportunità di una forma organizzativa che a distanza di quasi 18 anni dalla legge 381 sta imboccando una strada autonoma dalla semplice funzione sociale.

Un ragionamento che si inserisce nel dibattito odierno sul concetto di ?laboratorio protetto?, aperto dal nuovo Codice sugli appalti, e che sembra voler tracciare definitivamente una linea di demarcazione tra la realtà italiana ed europea. «Con molta difficoltà la cooperazione italiana sta superando quell?ottica tipicamente pubblica dell?inserimento visto come semplice politica sociale», spiega il presidente del consorzio Cgm Finance, Giacomo Libardi. «Purtroppo ancora esistono esempi del genere, con l?ente pubblico che decide persino le tipologie da includere, ma ormai ci si sta rendendo conto che una vera progettualità si ha solo liberandosi da questo meccanismo».

La via da percorrere è allora quella di svincolarsi da quelle forme contrattuali che impediscono una libera progettazione dell?inserimento o impongono standard qualitativi impostati sulle scarse risorse economiche e culturali. In altre parole, «strumenti come le convenzioni e adesso gli appalti, al momento non sembrano risolvere i vecchi problemi», dice il presidente del consorzio Oscar Romeo, Mauro Ponzi. «In questo senso ormai l?abbraccio del pubblico si sta facendo soffocante e va ancora bene per quelle cooperative che credono di aver trovato nella territorialità un ottimo spazio di manovra. Ma per le altre?».

Così lo sguardo si sposta sul mercato e sulla competizione. Un ambito di azione che finora ha permesso alla cooperazione di progettare inserimenti storicamente ignorati dalla pubblica amministrazione. La soluzione sta proprio qui, «la riflessione non è se meglio il pubblico o privato, ma se si vuole fare quel salto qualitativo nello stesso profilo di inserimento», spiega Libardi. «Se si vuole, insomma, seguire un modello transitivo proposto spesso dal pubblico, fatto di un continuo ricambio dei soggetti svantaggiati, o se si preferisce investire su una tipologia di inserimento duraturo, che guardi allo sviluppo delle competenze dei lavoratori».

Un?ottica differente che impegna la cooperazione ad abbracciare modelli organizzativi ancora più flessibili, conciliando le esigenze dei lavoratori svantaggiati ai cicli produttivi e investendo sui soggetti normododati anche nell?azione di accompagnamento.

Nuove scommesse che comportano costi maggiori. «Per competere in mercati alternativi al pubblico è necessario investire in formazione», dice il presidente del consiglio di amministrazione del consorzio Sacs, Severino Speranza. «In media si tratta di oltre il 10% in più rispetto a quelle organizzazioni che lavorano con il pubblico, e interamente impiegato per aumentare le competenze dei soggetti svantaggiati. Sono costi importanti da sostenere, ma è anche vero che il rapporto con il privato assicura, oltre ad ingenti introiti, anche un arco temporale maggiore del progetto e questo tranquillizza sulla possibilità di investire sull?inserimento e quindi anche sulla crescita della struttura».


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