Ogni anno sul territorio italiano si spostano oltre 100 milioni di viaggiatori, quasi il doppio della popolazione dell?intero Paese. Una fonte economica inesauribile che l?Istat attribuisce prevalentemente all?offerta di alberghi, agriturismi e pacchetti vacanze preconfezionati. Il resto è statisticamente irrilevante.
Eppure esiste un turismo ?non di consumo?, fatto di sostenibilità ambientale, responsabilità e sviluppo locale. Un diverso approccio al tempo libero veicolato negli anni dai Cral aziendali e dalle ong e che, oggi, sta acquisendo aspetti imprenditoriali, anche per merito della cooperazione sociale. Per ora il fenomeno va letto in prospettiva futura perché, nonostante la mancanza di dati certi, le prime stime parlano di non oltre duecento imprese sociali attive. Cooperative che gestiscono case per vacanze, ostelli e alberghi accessibili, con l?offerta di ulteriori servizi incentrati sulla conoscenza delle realtà locali.
Obiettivo diversità
A prima vista niente di nuovo rispetto alle normali proposte di società private. Tuttavia «le differenze sono significative», spiega Gianni Scarpetti, che per Cgm sta conducendo una mappatura della cooperazione sociale operante nel settore turistica. «Un privato si limita ad offrire alberghi o bed & breakfast accessibili e a prezzi contenuti. La cooperativa, invece, si pone come leader di una programmazione territoriale che guarda allo sviluppo comunitario, sia in termini di inserimento lavorativo che di coinvolgimento delle diverse realtà nel rispetto delle culture locali. In poche parole, il turista viene spinto a conoscere quei diversi aspetti che vanno dai semplici prodotti tipici alle contraddizioni insite in una particolare comunità».
Investire in formazione
Un punto di vista differente che negli anni ha probabilmente contribuito a frenare lo stesso sviluppo del settore. «Ci sono state difficoltà relative al tentativo di mutuare il modello del turismo responsabile nel Sud del mondo e applicarlo alla realtà italiana», spiega Barbara Giardiello, presidente della cooperativa Stranaidea. «Rilevare le necessità e le offerte della comunità è un lavoro lungo, che necessita di continui focus group e incontri con la popolazione. L?obiettivo è quello di rendere riconoscibile la propria attività, veicolando anche un modo caratteristico di interpretare il turismo. Solo così si può far conoscere la realtà, eliminando i classici filtri dei tradizionali operatori turistici».
Operazioni complesse che in molti casi hanno evidenziato deficit formativi rilevanti. «Soprattutto nel caso delle cooperative di tipo A, la scelta di affrontare un settore per molti versi diverso da quello dell?assistenza sociale e di fatto prettamente imprenditoriale, ha comportato una lenta e complessa ridefinizione delle competenze», spiega Scarpetti. «E ciò per molti ha significato mettere mano allo stesso sistema organizzativo».
Proprio per questo, il passo successivo non può che essere quello di definire un modello flessibile e funzionale per orientare l?attività delle diverse cooperative. Anche perché la stessa definizione di turismo sociale che contempla tutte le diverse tipologie di offerta, può di per sé essere fuorviante.
Strutture col bollino
Ecco perché Cgm sta ideando un marchio di qualità per delimitare e riordinare il campo di azione. «Stiamo definendo criteri da rispettare, come per esempio l?ospitalità, l?accessibilità e la sostenibilità, che daranno il senso delle attività e che forniranno delle linee guida per riconoscersi e orientarsi nell?offerta dei servizi», spiega Daniele Rota, presidente del consorzio Accordi. «In più cercheremo di incentivare il miglioramento della qualità con un monitoraggio continuo così da premiare il rispetto e il superamento di quei determinati requisiti».
La preoccupazione sembra, dunque, quella di identificare efficacemente un modo caratteristico di fare turismo cooperativo. «Prima di ragionare sui numeri e sugli aspetti quantitativi del fenomeno, ci dobbiamo preoccupare di definirlo e di trasmettere la peculiarità della nostra offerta», spiega Renate Goergen, presidente del neo costituito consorzio Le Mat (vedi box sotto). «È necessario perciò far passare l?idea che per noi turismo sociale vuol dire promuovere l?incontro e la comunità. In questo senso si deve lavorare sul prodotto non solo per renderlo riconoscibile, ma soprattutto per fidelizzare il cliente».
Fate rete, gente
Più che in altri casi, il lavoro di rete diventa imprescindibile. Ecco perché per il settore turistico è fondamentale la forma consortile. «È un?esigenza determinata dalla novità di questo settore», continua la Goergen. «Ma per noi è anche una peculiarità perché più si è piccoli e strutturati in reti ampie, più si riesce a conoscere il territorio e a rilevarne le grandi potenzialità culturali. In tal senso è necessario coinvolgere massicciamente quegli enti e quelle comunità montane sensibili alla riscoperta delle proprie caratteristiche culturali. Queste realtà hanno bisogno di partner qualificati che traducano in pratica la loro idea di sviluppo locale. I Comuni non possono farlo da soli e per la cooperazione questa è una grande opportunità di sviluppo. Bisogna saperne approfittare promuovendo i nostri modelli di integrazione, anche tramite la collaborazione tra diverse realtà. In questo senso sarebbe molto importante riuscire a mettere a sistema consorzi e cooperative appartenenti alle tre rappresentanze. Solo così si può far crescere e sviluppare un settore ancora giovane come questo».?
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