Politica estera

Siria, quando l’Italia voleva normalizzare i rapporti con Assad

Molti sono i migranti che dopo la caduta del dittatore hanno manifestato la volontà di tornare a casa. L'Europa può e deve contribuire a creare le condizioni di sicurezza indispensabili affinché questo avvenga. Sfilarsi dal gruppo come in passato ha fatto il nostro Governo minerebbe la credibilità internazionale di Roma

di Paolo Bergamaschi

Il 15 luglio scorso, rompendo con la posizione condivisa dell’Unione Europea, l’Italia ha fatto da capofila inviando una lettera all’allora Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune Josep Borrell per chiedere di rivedere la strategia nei confronti della Siria.

Nel testo, firmato dal Ministro degli Esteri Antonio Tajani e sottoscritto anche dai colleghi di Austria, Croazia, Grecia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Slovenia, si sottolinea che «…è giunto il momento di valutare l’efficacia delle nostre azioni e dei nostri strumenti e le opzioni per aggiustare il nostro approccio, basato sulla realtà mutata sia all’interno che all’esterno della Siria». L’obiettivo, secondo i firmatari, era, sulla carta, quello di «contribuire a creare le condizioni per il ritorno in sicurezza, dignità e, su base volontaria, dei profughi siriani in linea con gli standard dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite».

Dietro a questa formulazione soft c’era, in realtà, la malcelata volontà di sbarazzarsi dell’ingombrante presenza dei rifugiati mediorientali rispedendoli il prima possibile in patria. La strategia, che i ministri dei sette Paesi volevano modificare, era quella approvata dal Consiglio europeo nell’aprile 2017. Una strategia fondata su “tre no”: nessuna normalizzazione con Damasco, nessuna revoca delle sanzioni e nessuna ricostruzione della Siria a meno che non ci siano “progressi significativi” nel processo politico, come delineato dalla risoluzione 2254 delle Nazioni Unite.

Anche se non è andata a buon fine l’iniziativa dell’Italia ha provocato non pochi malumori a Bruxelles.  «Il negoziato diretto dell’Italia con il regime di Assad presenta sfide significative e la divergenza dalle politiche multilaterali dell’Ue può avere gravi implicazioni politiche per la disputa siriana», scriveva un opinionista in settembre sul sito di Carnegie, uno dei più autorevoli think tank internazionali di geopolitica. Nel frattempo, infatti, la diplomazia italiana, nonostante la bocciatura europea, si era spinta oltre, riaprendo l’ambasciata a Damasco con la nomina del nuovo ambasciatore Stefano Ravagnan. Era dal 2012 che la sede della rappresentanza italiana era chiusa per protestare contro «l’inaccettabile violenza del governo di Bashar al-Assad contro i suoi stessi cittadini» come recitava il comunicato stampa di allora della Farnesina.

Se quelle erano le ragioni della chiusura non si capisce come e perché il nostro Paese abbia potuto ribaltare la sua posizione visto che la situazione in Siria, nell’arco di tredici anni di guerra civile, non ha fatto che deteriorarsi con una repressione feroce nelle zone controllate dal regime che non si è mai attenuata. Secondo i dati delle Nazioni unite sono all’incirca sette milioni i cittadini siriani che hanno cercato rifugio all’estero da quando il Paese è precipitato nel caos. Di questi poco più di 6mila si trovano attualmente in Italia. Decisamente molti di più sono ospitati in Germania, Francia e Gran Bretagna. A nessuno dei leader di questi tre Paesi, però, membri come l’Italia del G7, è passato per la testa di normalizzare le relazioni con uno dei regimi più sanguinari del globo come quello al potere per 53 anni in Siria.

Gli Stati Membri dell’Ue, inoltre, dovrebbero, in base ai trattati, coordinare la propria politica estera con quella europea. Difficile, se non impossibile, prevedere oggi come si evolverà la situazione siriana in una regione ad altissima instabilità piagata da profonde ferite di natura etnica, religiosa e culturale. Molti sono i migranti che dopo la caduta di Assad hanno manifestato la volontà di tornare a casa. L’Europa può e deve contribuire a creare le condizioni di sicurezza indispensabili affinché questo avvenga. Sfilarsi dal gruppo come ha fatto l’Italia con la Siria incrina la nostra affidabilità e nuoce alla nostra credibilità internazionale. Peraltro, per quanto riguarda la politica migratoria, si tratta del secondo buco nell’acqua nel giro di poche settimane dopo il fallimento dell’operazione di ricollocamento dei richiedenti asilo in Albania. C’è chi vorrebbe che l’Italia si sfilasse dalla politica estera e di sicurezza comune europea anche per quanto riguarda il conflitto in Ucraina. Il precedente della Siria dovrebbe, forse, insegnarci qualcosa. 

Foto La Presse: una famiglia siriana tenta di rientrare nel Paese dalla Turchia         

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