Medio Oriente
Siria, la fotografia del Paese dopo 13 anni di guerra
«Per bambini e bambine è molto difficile frequentare delle scuole secondarie e professionali», spiega Andrea Sparro, rappresentante Paese in Siria per WeWorld. «Questo fa sì che ci siano meno competenze professionali sul mercato del lavoro. C'è un grandissimo rischio di creare situazioni di dipendenza da altro: da altre persone, da situazioni di sfruttamento o dagli aiuti umanitari»
di Redazione
“Non possiedo nulla e non riesco a garantire l’istruzione dei miei figli”. “I miei figli facevano oltre 4 chilometri a piedi per raggiungere una scuola dove non c’erano insegnanti”.
Queste alcune delle testimonianze raccolte a 13 anni dallo scoppio del conflitto in Siria dall’organizzazione umanitaria WeWorld. Si stima che nel 2024, 16,7 milioni di siriani – il numero più alto dall’inizio della crisi nel 2011 e pari all’80% degli abitanti – avranno bisogno di una qualche forma di assistenza umanitaria (Ocha, Syria HNO 2024).
Mentre la crisi entra nel suo tredicesimo anno, 7,2 milioni di persone rimangono sfollate all’interno del Paese, molte delle quali vivono in campi sovraffollati. 5,2 milioni di persone sono fuggite dalle loro case e sono registrate come rifugiati e richiedenti asilo nei Paesi vicini, con limitate prospettive di ritorno. La crisi sociale, economica ed energetica del Paese però influisce gravemente anche sulla formazione ed è in corso un’emergenza educativa che colpisce più generazioni: le scuole o non esistono più, perché sono state distrutte, o non funzionano perché i docenti non hanno i mezzi per raggiungere le aule. Il sistema di educazione formale del paese è in grande crisi e non si vede all’orizzonte una possibilità di recupero strutturale del settore.
«Per bambini e bambine è molto difficile, e in alcuni casi impossibile, frequentare delle scuole secondarie e professionali», spiega Andrea Sparro, rappresentante paese in Siria per WeWorld. «Questo fa sì che ci siano meno competenze professionali sul mercato del lavoro, che è già in crisi. Di conseguenza, c’è un grande rischio di maggiore povertà e disoccupazione, e un grandissimo rischio di creare situazioni di dipendenza da altro: da altre persone, da situazioni di sfruttamento o dagli aiuti umanitari».
Le ripercussioni si evidenziano però anche sul piano dello sviluppo personale perché la scuola è un veicolo di emancipazione, di crescita, di ascesa culturale, personale e sociale. Sono tante le barriere che i bambini e le bambine siriane devono superare affinché possano vedere garantito il diritto al futuro. Il rischio del lavoro minorile è una realtà: spesso i minori si ritrovano a dover lavorare sin da piccolissimi in attività commerciali, manufatturiere o su catene di montaggio. Per le bambine poi esiste anche il pericolo di matrimoni e gravidanze precoci.
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In questo contesto, i terremoti che hanno colpito il nord della Siria nel febbraio 2023 – causando la morte di oltre 5.900 persone e il ferimento di oltre 12.800 – hanno peggiorato una situazione già complessa, danneggiando ulteriormente infrastrutture cruciali e compromettendo ancora di più l’accesso ai bisogni di base per la popolazione, proprio come racconta Abdul. «Ad oggi non riesco a comprare l’essenziale per mandare i miei figli a scuola a causa dei prezzi altissimi», spiega. «La scuola del nostro villaggio è pessima perché non abbiamo insegnanti. Loro, infatti, devono spendere somme che superano il loro stipendio per arrivare nelle aule e non abbiamo mezzi di trasporto. Molti abitanti del mio villaggio sono stati costretti a vendere i mobili di casa, le automobili e parte dei loro terreni per pagare il completamento dell’istruzione dei figli. Anche il dispensario del villaggio è vuoto di medicine e di prodotti di base. Il terremoto poi ci ha colpito molto, soprattutto i bambini».
«I miei figli erano costretti a percorrere oltre 4 km a piedi per raggiungere una scuola dove non c’erano insegnanti, perché non riuscivano a raggiungere la struttura a causa degli alti costi di trasporto», gli fa eco Ali. «All’inizio ho investito molti soldi perché gli insegnanti potessero raggiungere il villaggio ma oggi non posso neanche più permettermi l’istruzione dei miei figli. Il terremoto è stato molto forte e ancora oggi ricordo lo stato di panico che ha molto scosso i miei figli quando siamo usciti di casa, girando a destra e a sinistra, pregando Dio mentre piangevano». E ancora Abdulrazzak: «Quando sono arrivato nel mio villaggio avevo 25 pecore e 4 mucche. Oggi non ho più nulla perché sono stato costretto a venderle. Quest’anno dovrò vendere parte della mia terra e la mia auto per far sì che il mio unico figlio completi il suo percorso di istruzione. Io, come tutte le persone che vivono qui, devo far fronte a una situazione economica molto turbolenta, con prezzi instabili».
Vivere in aree di crisi protratta diminuisce le opportunità di lavoro e ostacola l’apprendimento di nuove competenze o l’acquisizione di esperienze. Questo ha conseguenze frustranti sui giovani. È per questo che WeWorld – tra gli altri interventi – lavora per garantire l’accesso a un’educazione di qualità alle nuove generazioni. Lo fa lavorando sulla riabilitazione di infrastrutture, sulla formazione al personale e supportando la formazione professionale di giovani, creando un collegamento col mercato del lavoro. «Sebbene sia vero che è in corso una crisi umanitaria, e che i bisogni sono spesso di base, parliamo di una società che non può ripartire senza opportunità di sostentamento ed è per questo che supportiamo lo sviluppo di nuove competenze per creare attività generatrici di reddito», spiega Sparro.
È il caso di Ammar, 19 anni, un giovane con grandi ambizioni che ha sempre sognato di avere una carriera diversa dal lavoro nel campo agricolo. I suoi genitori, insieme ai loro cinque figli, lavorano proprio in questo settore e lui pensa di essere stato sfortunato perché desiderava di fare qualcosa di diverso. «Quando WeWorld mi ha contattato per il corso di sartoria, non potevo credere che non sarei stato più un contadino. Pensavo fosse un sogno che non si sarebbe mai realizzato. Era terribile pensare che avrei passato tutta la vita a lavorare la terra. Oggi lavoro e guadagno, ho anche una mia macchina da cucire per poter gestire l’attività».
Zalkha, invece, ha perso il marito durante il conflitto e da allora, a causa del deterioramento della situazione economica della famiglia, i suoi figli non sono più andati a scuola. «Il mio livello di istruzione è molto basso e non riuscivo a lavorare e guadagnare qualcosa per mandare i miei figli a scuola», spiega. «Ora sono in grado di cucire abiti e di guadagnare un po’ di soldi per mantenere la mia famiglia e crescere i miei figli in modo migliore. Le mie cuciture ora hanno una finitura liscia e la gente apprezza il mio lavoro».
«La perdita di tanti anni di scuola rende difficilissima la compensazione di una situazione così critica, a prescindere dal lavoro che le organizzazioni internazionali possono fare», conclude Sparro. «Milioni di persone sono state costrette ad abbandonare il paese e sono tante quelle che ancora si spostano in cerca di una vita migliore. Quello che è in pericolo in generale è il futuro del paese, bisogna che si formino le persone che dovranno domani ricostruire una comunità così distrutta».
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