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Siria, boom di volontari per la Mezzaluna rossa

Intervista a Tommaso Della Longa, portavoce della Croce rossa italiana, di ritorno da Damasco e dintorni: "superata quota 10mila, e molti giovani vogliono dare una mano, nonostante già 20 persone siano state uccise da cecchini durante il loro intervento umanitario"

di Daniele Biella

“La Mezzaluna rossa recluta ogni giorno nuovi volontari, tutti giovani”. Tommaso Della Longa, 33 anni, portavoce  del presidente nazionale della Croce rosse italiana, è appena tornato da Damasco, dove ha toccato con mano gli orrori della guerra civile in atto da due anni  e la forza d'animo di chi non cede allo sconforto e alla catena della violenza. Il fatto che più lo sorprende è proprio l’aumento esponenziale delle richiesti di adesione giovanile all’organizzazione umanitaria: “i numeri erano già in crescita prima dello scoppio del conflitto, ma in questi 24 mesi è stato fatto un gran salto in avanti”.

Quanti sono oggi i volontari della Mezzaluna rossa in Siria?
Stiamo parlando di almeno 10mila persone, quasi tutte di età compresa tra i 20 e i 32 anni. In questi anni di guerra, molti si presentano per chiedere di poter dare una mano. Questo nonostante siamo di fronte a uno dei peggiori conflitti armati nella storia dell’intercento umanitario del sistema internazionale che comprende Croce e mezzaluna rossa, oggi presente in 186 paesi del mondo. Il dato più sconvolgente è che finora sono morti ben 20 volontari mentre erano in azione, spesso uccisi da cecchini, in alcuni casi delle forze governative, in altre dei ribelli. Per noi è un numero immenso, perché erano persone assolutamente distinguibili e neutrali rispetto alle parti in conflitto.

Le ambulanze riescono comunque a lavorare?
Con molte difficoltà, perché in questo caso più che mai la violazione del diritto umanitario è un dato di fatto, e il volontario non viene rispettato in quanto tale. La situazione è ancora più assurda perché i volontari in Siria più che mai, sono gente della stessa comunità, ben integrati e rispettati. Vengono considerati dalla gente ‘amici di tutti’, ma poi finiscono vittime. Fa ancora più effetto vedere l’aumento di richieste dei giovani perché è il segno che non si vuole abbassare la testa alla violenza.

Ci sono zone più a rischio di altre?
Il rischio è continuo e in quasi tutto il paese. Il problema è che gli stessi convogli umanitari fanno difficoltà anche a fare pochi chilometri: dove non ci sono i blocchi dell’esercito, ci sono quelli dei ribelli, che non sono una forza unica ma sono divisi in decine di gruppi diversi che a volte non dialogano tra loro, non passandosi così le informazioni.

Qual è il significato del viaggio della Croce rossa italiana in Siria?
Portare solidarietà con la presenza fisica, in questo momento la società civile e chi lavora nell’umanitario ha bisogno di questo. Si tratta della seconda volta in un mese che vi andiamo, anche perché stiamo valutando come essere ancora più utili: ora dedicheremo i nostri sforzi a portare sostegno alle decine di migliaia di persone che vivono da sfollati interni, in luoghi dove non c’è niente, né a livello alimentari né di servizi. Per questo chiederemo anche aiuto, tramite donazioni, ai nostri sostenitori in Italia.


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