Welfare
Siproimi, rischio centri monstre. Il Gus non ci sta
Nel Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati, con l’emergenza Covid si è creato un contenitore “tritacarne” con dentro tutto e il contrario di tutto. Per il Gus – Gruppo umana solidarietà è una pessima decisione: è come creare una classe dove alcuni possono imparare a scrivere mentre gli altri possono solo mangiare la merenda
L’annus horribilis 2020, contrassegnato da un virus che da mesi serpeggia tra noi apparentemente indisturbato, ha creato non pochi sconvolgimenti a tutti i livelli della società planetaria.
La bomba è scoppiata anche sul nostro sistema di accoglienza: una “creatura” fragile nata da un approccio emergenziale e da sfilacciate politiche migratorie, italiane ed europee, che mancando totalmente di una visione di sistema, si nascondono sempre più dietro elefantiache pratiche burocratiche perdendo di vista il fattore umano.
Al centro delle problematiche, in particolare, il sistema Sprar/Siproimi ora parrebbe ulteriormente superato dal nuovo Decreto immigrazione anch’esso bisognevole di un necessario periodo di confronto con una realtà velocemente mutevole rispetto ai tempi anchilosati del legislatore.
Questo “organismo”, che bene o male è entrato a far parte del welfare locale, offre un insieme di attività progettuali che possano accompagnare verso una reale autonomia socioeconomica i beneficiari, intesi non come soggetti passivi di interventi predisposti in loro favore, ma protagonisti attivi del proprio percorso di accoglienza e di inclusione sociale. Non bisogna nascondere che in molte realtà locali, purtroppo, il modello sta perdendo l’innovativa forza propulsiva degli inizi lasciando il posto allo svolgimento di una attività poco incisiva di disbrigo burocratico dell’essenziale, anche su input degli organismi di controllo
Un viaggio complesso e delicato che deve tener conto delle caratteristiche di ciascun migrante, in termini di diritti e di doveri, di aspettative, del contesto culturale e politico di provenienza, delle sue risorse individuali, e che mette alla prova la bravura e la sensibilità degli operatori: veri e propri sarti i quali tagliano e cuciono su misura i percorsi più appropriati per i “loro” beneficiari, nel sempre più fragile tessuto economico italiano.
La bomba, dicevamo, è scoppiata a seguito del decreto-legge del 19 maggio 2020 n. 34 “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19”. L’articolo 16 del provvedimento prevede infatti che i posti disponibili nelle strutture Siproimi, “per un termine non superiore ai sei mesi successivi alla cessazione dello stato di emergenza possano essere utilizzati per l’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale”. In particolare, nella norma si specifica che a questi nuovi ospiti andranno garantiti solo i servizi previsti dalla legge per i richiedenti asilo, cioè gli stessi servizi erogati nei centri di accoglienza straordinaria (Cas) e non, quindi, per esempio, i percorsi di inclusione socio-lavorativa (es. formazione professionale) che coinvolgono i titolari di protezione internazionale o i minori non accompagnati.
Siamo consapevoli che c’è un’emergenza in atto non ancora risolta, che ha interrotto il naturale turn over dei migranti in accoglienza, rendendo necessario stabilirne la permanenza nei centri anche qualora ne siano venuti meno i requisiti (art. 86-bis, c. 2, DL n. 18, del 2020, conv. Dalla L. n. 27 del 2020), nonché della necessità di adottare misure di distanziamento dell’ambito dei centri stessi.
Ma creare un contenitore “tritacarne” con dentro tutto e il contrario di tutto è una pessima decisione: è come creare una classe dove alcuni possono imparare a scrivere mentre gli altri possono solo mangiare la merenda. Con tutte le frustrazioni del caso sia per gli alunni di serie A sia per quelli di serie B, sia chiaramente per gli insegnanti.
Inoltre, la discriminazione, gli episodi di razzismo e xenofobia, ma anche la paura del virus, minano il lavoro che operatori instancabili svolgono quotidianamente tra gli “ospiti” e la comunità d’accoglienza, aggregato fondamentale su cui si imbastiscono le aspettative, le speranze e gli orizzonti dei nuovi cittadini, ma anche degli stessi italiani, parte integrante di quell’ospitalità che ogni giorno si modifica e si rinfocola, a volte con due passi avanti, a volte con due indietro, giusto per far capire quanto sia fragile e friabile il terreno dell’accoglienza.
Non crediamo che questo cagionevole sistema tenuto insieme con le unghie e con i denti possa irrobustirsi con la creazione del contenitore monster, generatore di diseguaglianza (con l’oggettiva aggravante del virus, che in alcuni progetti che ha in carico il Gus ci sono stati alcuni ragazzi appena sbarcati, e quindi richiedenti asilo, che una volta collocati nel Siproimi sono risultati positivi al Covid contagiando altri soggetti e azzerando il lavoro delle equipe di progetto che si sono dovute mettere in quarantena fiduciaria nonostante a parere delle istituzioni basterebbe un semplice tampone a scongiurare ogni pericolo).
Qualcuno potrebbe dire che in una situazione d’emergenza come quella che stiamo vivendo mettere insieme richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale è l’ultimo dei problemi laddove si tratterebbe di un provvedimento provvisorio come a tutt’oggi dettagliato nelle varie richieste di inserimento richiedenti asilo proveniente direttamente dalle navi quarantena, nei progetti Sprar/Siproimi.
Noi rispondiamo dall’altra che è una decisione che smonta e indebolisce un sistema, quello dei Siproimi, che non ha eguali in Europa, diffuso, ideato e attuato su tutto il territorio nazionale con la diretta partecipazione degli attori locali, che finora ha contribuito a costruire e a rafforzare una cultura dell’accoglienza presso le comunità cittadine favorendo la continuità dei percorsi d’inserimento socio-economico dei beneficiari.
Come dire che lo Stato, non avendo fiducia dei suoi provvedimenti o non conoscendoli nella loro reale applicazione, distrugga quanto abbia fatto di buono fino a quel momento per soddisfare il criterio della necessità e dell’urgenza e, nello specifico, per agevolare unicamente “il reperimento da parte delle Prefetture di strutture necessarie per l’applicazione delle indicate misure” (circolare del ministero dell’Interno del 22/5/2020), senza sforzarsi di trovare soluzioni migliori con il confronto di tutti gli attori del sistema e dimenticando che dietro ogni pezzo di carta e ogni pratica incellofanata si nasconde una storia fatta di carne e sangue, una storia di uomini e donne, che può cambiare in base a come quella pratica va compilata.
Una soluzione va presa, ovviamente, ma non è “adeguando” e diminuendo la “qualità” delle attività del Siproimi che si può affrontare questo problema. Tutt’altro. Si rischia, in realtà, di rimandare nel tempo il problema, senza trovare una vera soluzione allo stesso e, dunque, di rimanere in quell’ottica di approccio emergenziale di cui accennavamo qualche riga sopra. Se la pandemia, come sembra, perdura nel tempo, una volta terminati i posti a disposizione nei progetti Siproimi, con un turn over di migranti limitato, cosa si fa? Si torna alle grandi strutture? Ovviamente no. Non verrebbero garantiti né i distanziamenti né le altre misure da adottare per diminuire il rischio contagio; senza contare all’effetto ghetto che tali centri provocano.
Non si può più perdere tempo dunque e si deve aprire un confronto tra ministero dell’Interno, Servizio centrale, enti locali, prefetture e gli enti gestori per trovare una soluzione condivisa, che non sia un “mero” ripiego”, ma che possa costituire un primo step del percorso di accoglienza e integrazione.
Non avrebbe senso altrimenti lo sforzo economico, culturale, legislativo, portato avanti su questo fronte dal nostro Paese contro pezzi d’Europa e del suo stesso territorio, che soffiano in direzione ostinata e contraria.
*Portavoce GUS – Gruppo Umana Solidarietà “G.Puletti” Onlus
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