Basta con i luoghi comuni infarciti di paternalismi stucchevoli che fanno dell’Africa la metafora della disgrazie umane. È davvero pungente e a tratti provocatorio il messaggio finale del Sinodo africano, a significare che non c’è tempo da perdere perché l’Africa deve cambiare e soprattutto non può abbandonarsi alla disperazione. Per carità i problemi sono reali, fanno ovviamente intendere i padri sinodali, ma è giunta l’ora di voltare pagina e questo sarà possibile solo e unicamente attraverso una decisa assunzione di responsabilità. Allora, se si vuole davvero aiutare l’Africa, il punto di partenza deve essere il rinnovamento della comunità cristiana, rifuggendo da inutili e sterili pietismi, nella certezza che occorre mettere in discussione una mentalità remissiva di fronte alle sfide imposte dalla globalizzazione. È sintomatico che a pensarla così non siano degli esperti stranieri, ma i vescovi africani che hanno preso parte all’assise sinodale. Ad esempio, il presidente della Commissione incaricata di redigere il testo, monsignor John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja (Ngeria), commentando il messaggio, ha affermato senza esitazione che non si può trovare alcuna scusante al deficit di democrazia che attanaglia il continente sostenendo che questa è una «via africana» per reggere i Paesi. Neanche piangersi addosso può aiutare a superare l’empasse, asserendo che l’Africa è stata vittima per secoli dello schiavismo o del colonialismo. D’altronde, come recita un detto anglosassone, charity begins at home, la carità comincia in casa propria. Ed è per questo motivo che il messaggio è indirizzato principalmente all’Africa in tutte le sue componenti, sia ecclesiali che sociopolitiche, perché possano modificare un sistema che determina una crescente divaricazione tra ricchi e poveri. In questa prospettiva, come si legge nel messaggio «l’Africa ha bisogno di politici santi che combattano la corruzione e lavorino al bene comune. Coloro che non sono formati alla fede, si convertano o abbandonino la scena pubblica per non danneggiare la popolazione e la credibilità della Chiesa cattolica». Molto importanti anche i riferimenti alla famiglia che le classi dirigenti debbono impegnarsi a salvaguardare, perché una nazione che penalizza questa istituzione agisce contro i propri interessi. Un richiamo questo che, lungi dal voler scadere in futili polemiche, potrebbe essere rivolto anche ai governi del Primo mondo. E ancora, proprio nella consapevolezza che l’Africa è parte integrante del villaggio globale, il messaggio è anche rivolto alla comunità internazionale, perché tratti il continente africano con rispetto e dignità, cambiando le regole del gioco economico e affrontando una volta per tutte la questione del debito estero, come anche il problema dello sfruttamento delle risorse naturali perpetrato con scaltrezza da gruppi d’interesse stranieri. Naturalmente, i temi trattati nella missiva sono davvero a 360 gradi: dal ruolo della donna, «spina dorsale» delle Chiese locali, ai giovani che rappresentano a livello continentale il 60% della popolazione con meno di 25 anni; dall’importanza del Sacramento della Riconciliazione, al rafforzamento dei legami con le antiche Chiese di Etiopia e di Egitto e tra l’Africa e gli altri continenti. Per non parlare dell’importanza che rivestono i mezzi di comunicazione sociale; della lotta contro l’Aids facendo riferimento soprattutto al valore della fedeltà coniugale e della castità; o del dialogo col mondo islamico, auspicando il pieno rispetto della libertà religiosa. Pertinente, poi, il richiamo alla necessità di sostenere i migranti e i rifugiati perché l’accoglienza è un dovere. Un impegno a cui nessun governo può sottrarsi. Toccante infine è il ringraziamento che viene formulato dai padri sinodali ai missionari. In fondo è anche merito loro se oggi in Africa c’è una Chiesa adulta.(da Avvenire 24 Ottobre 2009)
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