La lezione dello sport

Sinner? Vince perché ha allenato la speranza

La stupefacente rimonta agli Australian Open del giovane italiano ha reso evidente a tutti quello che la psicologia dello sport ripete da tempo. Ne abbiamo parlato con Pietro Trabucchi, atleta e psicologo che ha seguito varie squadre olimpiche. Parola d'ordine: non mollare e resistere, pensando di avere sempre un certo controllo sulla situazione

di Nicla Panciera

«Tante volte, nella vita come nello sport, il gioco non è mai chiuso fino all’ultimo e, anche quando la partita sembra essere finita, è cruciale pensare di avere una certa possibilità di controllo sugli eventi. Non bisogna mai abbandonare, pensando non posso farcela o tanto non ce la farò. Questo insegnamento, che viene dallo sport ed è poi trasferibile a tutti gli altri contesti della vita quotidiana, porta a un approccio mentale e comportamentale che si è materializzato davanti a tutti ieri durante la partita di Jannik Sinner».

Esperto di motivazione e gestione dello stress

A parlare è Pietro Trabucchi, atleta e psicologo di varie squadre olimpiche, che da anni si occupa di motivazione e gestione dello stress, ed è docente dell’Università degli studi di Verona e referente per la ricerca sulla psicologia delle attività in ambienti estremi presso il CeRiSM, Centro di ricerca Interuniversitario Verona-Trento sulla prestazione umana. Trabucchi fa riferimento alla teoria psicologica del “locus of control”, chi mantiene il “luogo del controllo” internamente, dentro di sé, ritiene che gli eventi della vita dipendano soprattutto da sé stesso e non dal destino o dagli altri, e ciò ha delle conseguenze sul suo comportamento e quindi sugli esiti delle proprie azioni. Che è poi quello che si intende con il più conciso “è una questione di testa”.

Non si tratta solo di vasche, piste da sci o campi in terra rossa, ma della vita. Infatti, come ci spiega Trabucchi, «un ribaltamento della situazione non accade solo in un singolo evento, per quanto importante, come è successo ieri, ma è possibile anche nelle carriere, quando persone raggiungono l’obiettivo contro ogni pronostico e nonostante la situazione sembrasse senza speranza».

Allenare la forza mentale


Nel suo saggio Tecniche di resistenza interiore. Come sopravvivere alla crisi della nostra società (Mondadori), il coach spiega come allenare la forza mentale e la resistenza in una società in cui la fatica e l’impegno vengono evitati invece che ricercati per il potenziale di crescita che offrono. «Gli sport insegnano la fiducia in sé stessi. La consapevolezza che costanza e motivazione porteranno a dei risultati potenzia il senso di auto efficacia» ci spiega Trabucchi, citando alcuni studi condotti anche con gli animali che dimostrano come «la speranza si può allenare: questo significa che quando raggiungiamo un obiettivo lavorando sodo con fatica e impegno, la volta successiva in cui ci troviamo in una situazione difficile siamo più pronti e ci mettiamo in gioco più di prima».

La resilienza non è un dono magico

Esserci passati, e avere appreso quello di cui si è capaci, conferisce più resilienza. Dopotutto, come illustra nel suo Resisto, dunque sono (Corbaccio), in cui prende ad esempio alcuni campioni che ha allenato e conosciuto, affrontare lo stress e superare gli ostacoli è più facile quando si è appreso come farlo. E qui sta il punto: «Queste esperienze servono. Togliere ai giovani, come mi sembra si faccia sempre più spesso con l’intenzione di proteggerli, la possibilità di vivere uno scontro/incontro in cui si misurano con gli altri non insegna loro a rialzarsi e ad affrontare le avversità, la cosiddetta resilienza. Il confronto con gli altri e con i propri limiti invece aiuta a crescere e a migliorarsi. È una risorsa. Ad esempio, non dare i voti in classe o non fare classifiche di gara, premiando indistintamente tutti gli adolescenti come si fa con lo sci baby, è sbagliato, perché non si spinge i giovani a migliorarsi». Come spiega nel suo saggio Perseverare è umano (Corbaccio), «la resilienza non è un dono magico o sovrannaturale, ma è legata al modo in cui elaboriamo le informazioni e ci rapportiamo con la realtà». E aggiunge: «È una capacità cognitiva e come tale è allenabile». Anche perché, poi, le frustrazioni e le competizioni esistono e i ragazzi le incontreranno crescendo, quindi vanno equipaggiarti al meglio.

Da bambino sugli sci

Jannik Sinner, che è stato sugli sci fin da bambino e solo in età adolescenziale è passato al tennis, ha ringraziato i propri genitori per averlo lasciato sempre libero di scegliere e non avergli mai fatto alcuna pressione. «Il genitore che spinge i propri figli affinché ottengano dei risultati, fenomeno alquanto diffuso, ha un problema narcisistico e cerca la propria soddisfazione egocentrica» conclude Trabucchi. «Così facendo sta, inconsapevolmente, distruggendo le possibilità della propria figlia e del proprio figlio, sostituendo la propria motivazione alla loro. Ciò avviene soprattutto all’inizio, quando i successi arrivano facilmente, ma andando avanti con l’aumentare delle difficoltà sarà la motivazione del giovane atleta a fare la differenza».

Nella foto di apertura, di AP Photo/Alessandra Tarantino/LaPress la gioia di Sinner dopo l’ultimo scambio Medved.

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