Giornata Nazionale della Sindrome di Down
Casa Teatro, una scuola che fa spazio ai sogni di Emma
Che cosa fanno i giovani con disabilità intellettiva quando la scuola finisce? Tirocini di avviamento al lavoro o centri diurni. E chi sogna di studiare ancora? E chi sogna di fare teatro? «Diciamo la verità, "se vuoi, puoi" funziona solo dove ci sono opportunità. E tutti oggi abbiamo il compito di costruire opportunità nuove, diverse, più ampie per i giovani con disabilità», dice Martina Fuga, presidente di CoorDown. Sua figlia Emma tra pochi giorni farà ingresso a “Casa Teatro”, una scommessa appena nata a Milano
«Una delle domande che mia figlia mi fa più spesso? Sicuramente questa, dura e diretta: “Ma tu credi in me?”. Lo fa con tono dolcemente provocatorio, perché vuole – anzi giustamente pretende – lo spazio anche per potere sbagliare». Parla così Martina Fuga, mamma di Emma, energica e determinata diciannovenne con sindrome di Down, la cui storia può sicuramente partire dalla parola fiducia. Questa parola racchiude il senso della campagna di quest’anno della Giornata nazionale delle persone con sindrome di Down, che si celebra il 13 ottobre, con lo slogan “Pensa che io possa, così forse io potrò”.
Fiducia, possibilità, opportunità che i ragazzi e i giovani con sindrome di Down non sempre hanno quando, dopo le superiori, ma anche prima, nel momento di scegliere il percorso di studi, devono decidere “cosa fare da grandi”. Scelta difficile da fare per tutti, ma ancor di più quando le opportunità vengono del tutto meno perché nessuno pensa che sia possibile anche solo ipotizzarle, quindi costruirle e offrirle. Emma non fa differenza, anche se la sua storia la ciliegina sulla torta l’ha trovata.
Quando finisce la scuola
«Emma ha una storia scolastica molto variegata», racconta Martina Fuga, presidente di CoorDown, il Coordinamento nazionale associazioni delle persone con sindrome di Down, «perché ha frequentato la quarta elementare a Milano, poi in quinta ci siamo trasferiti in Turchia per motivi di lavoro di mio marito e a Istanbul ha frequentato la scuola americana. Siamo tornati in Italia e poi siamo ripartiti per un altro anno in Francia, dove ha vissuto la terribile esperienza delle classi speciali. Rientrati a Milano, ha frequentato il “Caterina da Siena”, un Istituto tecnico che forma gli studenti per inserirli nel mondo della moda, dove ha fatto veramente una bellissima esperienza, perché ha avuto un corpo docenti molto motivato, che le ha dato molta fiducia. Fiducia, lo dicevo all’inizio, è la parola chiave per tutto quello che sarà la vita di Emma, che comunque non si è mai fermata davanti alla sua disabilità, superando tutti quei preconcetti che le ponevano ostacoli rispetto a cosa imparare e che tipo di fatica dovere affrontare. Ostacoli che tutti, inevitabilmente, dobbiamo superare durante il nostro percorso di studi e professionali, ancor di più quando c’è una disabilità intellettiva come la sindrome di Down. Bisogna fare un passo in più per riconoscere i pregiudizi che abbiamo e causano limiti, costruendo gabbie attorno alle persone con disabilità e con fragilità alle quali basta dare aspettative per aprire nuove strade davanti a loro».
Bisogna fare un passo in più per riconoscere i pregiudizi che abbiamo e che causano limiti alle persone con disabilità e con fragilità, costruendo gabbie attorno a loro. Invece basta allargare le aspettative per aprire nuove strade davanti a loro
Martina Fuga
Fondamentale il supporto degli insegnanti. «Sì e quelli di Emma hanno avuto la cura di accompagnarla nel suo percorso con un piano individualizzato, il famoso Pei differenziato, che non ho avuto esitazione a firmare dal secondo anno proprio perché ogni insegnante aveva un ben preciso progetto rispetto a cosa avrebbero voluto e potuto ottenere con un progetto educativo che guardava alla persona. Come del resto dovrebbe essere. Io avevo chiaro che non avrebbero tenuto bassa l’asticella, ma avrebbero lavorato con lei al massimo delle sue possibilità», spiega Fuga.
Un attestato, non un diploma
Emma ha finito la scuola superiore lo scorso giugno e in forza del suo Pei differenziato non ha conseguito un diploma, bensì un attestato. È un percorso che riguarda molti studenti con disabilità, una possibilità pensata per garantire ad ogni persona il “vestito scolastico” più adatto. Questo attestato di studio, però, non permette di proseguire gli studi all’università o nella formazione terziaria. Chi ne è in possesso, dopo le scuole superiori, può solamente entrare nel mondo del lavoro e formarsi sul campo con dei tirocini. Un paradosso, in un Paese avanti come normativa di inclusione scolastica rispetto al resto del mondo: che fare dopo le superiori? Solo il lavoro o i centri diurni? È tempo di immaginare e costruire altre possibilità.
Una passione per il teatro
Emma di certo non si è mai rassegnata a mettere nel cassetto i suoi sogni. E la sua passione è il teatro. «Io ero molto serena e mi ero predisposta a cominciare i vari tirocini lavorativi per inserirla nel mondo del lavoro, ma mia figlia è una persona caparbia e con tanta voglia di fare. Diceva che voleva frequentare una scuola come quelle che si vedono nei film, tipo Saranno famosi o come lo “Studio 21” di Violetta. Recitare è la sua grande passione», racconta Fuga.
A scuola, infatti, fin da quando era alle elementari, Emma è sempre stata molto partecipe alle recite e alle superiori ha avuto un’insegnante di italiano con la passione per il teatro. L’anno scorso ha partecipato a un bellissimo progetto in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne. «Il teatro per Emma è un sogno a cui non ha mai voluto rinunciare. Per tutta l’estate lo ha ripetuto in continuazione: “Io perché devo lavorare adesso? Io voglio studiare”».
Il teatro per Emma è un sogno a cui non ha mai voluto rinunciare. Per tutta l’estate lo ha ripetuto in continuazione: “Io perché devo lavorare adesso? Io voglio studiare”
Ai primi di settembre, una sorpresa. Arriva la notizia della nascita di “Casa Teatro“, una scuola di teatro con una nuova visione, con lo scopo di formare ragazzi e ragazze con e senza disabilità, offrendo un luogo dove si può studiare e seguire le lezioni, ma anche provare a fare tutto da soli, condividendo questo spazio-tempo con i compagni.
Una casa che si fa teatro e un teatro che si fa casa
Una scuola, si legge nella presentazione del progetto, nel suo significato originale di skolè, ovvero di “tempo libero”: un tempo liberato dagli obblighi e dalle costrizioni e restituito alle sue molteplici possibilità d’arte e di vita. Un progetto, “Casa Teatro“, ideato e sostenuto dalla Fondazione Allianz Umanamente, in collaborazione con il Teatro de “Gli Incamminati” e il Centro interdipartimentale Officine Creative dell’Università degli Studi di Pavia, per dare vita a una scuola per le arti della scena che sia, al contempo, un’esperienza educativa e formativa per persone con e senza disabilità, in un’ottica di inclusione lavorativa e partecipazione sociale. Una ventina in tutto gli allievi, che per due anni avranno la possibilità di approfondire pratiche e tecniche specifiche riguardanti la recitazione e la scrittura scenica viene proposto in modo integrato con percorsi legati ai processi di comunicazione e alle relazioni interpersonali e di comunità.
Il teatro con le persone con disabilità? Un valore per l’arte stessa
«Un progetto raccolto prima dal Teatro de “Gli Incamminati” e da Giacomo Poretti in particolare», spiega Fabrizio Fiaschini, insegnante di Storia del Teatro all’Università di Pavia, «che l’hanno subito sposato perché rientra nella loro mission anche artistica e creativa, chiamandoci perché le “Officine creative” sono il braccio operativo della sezione spettacolo dell’Università di Pavia. Da tempo ci occupiamo di arte e di teatro sociale, soprattutto con la disabilità, attivando percorsi sia di formazione sia di produzione artistica. Casa Teatro vorremmo che fosse anche un percorso di crescita umana e relazionale, finalizzata a promuovere la persona nella sua complessità, quindi un luogo di formazione, di ospitalità, aperto al territorio».
Una sfida per l’arte e per la vita
«Rispetto alla formazione teatrale, riteniamo che oggi il teatro con le persone che hanno una qualunque disabilità non abbia solo una funzione educativa. Di fatto»,ci tiene a sottolineare Fiaschini «la storia recente ci ha dimostrato che alcune delle più interessanti produzioni artistiche degli ultimi anni maturano proprio all’interno di questa relazione con la creatività e con i linguaggi artistici delle persone con disabilità. Ecco perché abbiamo voluto che fosse un percorso il più possibile integrato, quindi ragazzi e ragazze con e senza disabilità, in modo tale che ci sia un dialogo tra di loro e che questa professionalizzazione possa andare verso la direzione di una valorizzazione del teatro e delle arti perfomative nel loro complesso. L’obiettivo è proprio quello di portare questi ragazzi a fare spettacoli che andranno in scena nei principali festival teatrali nazionali. Ci tengo a dire che, grazie a Fondazione Allianz abbiamo ristrutturato questo spazio teatrale, che ua volta era un oratorio, facendone uno dei primi teatri italiani totalmente privo di barriere architettoniche. Non esiste un’esperienza del genere in tutta Italia, una scuola così strutturata che duri due anni, peraltro con una parte produttiva finale che possa segnare la strada a chi parteciperà. Per questo dico che, se dovessi definirla con una parola, una frase, dire che si tratta di una sfida per l’arte e per la vita».
Con gli occhi che brillano
Il 21 ottobre Emma comincerà questo nuovo percorso. «Lei è molto determinata, ci ha sempre creduto più di me. È chiaro che questa forza le arriva non solo dalla famiglia, da noi genitori e dai suoi due fratelli, ma anche dagli insegnanti che negli anni le hanno dato la voglia di cercare ciò che corrispondesse ai suoi desideri. Quello che vorrei che passasse è che il “se vuoi, puoi” si concretizza solo se ci sono delle opportunità. Emma è stata fortunata e io come mamma mi sento privilegiata. Se nasci in contesti sociali e territoriali che non offrono le possibilità che abbiamo avuto noi, il “se vuoi, puoi” non funziona», dice chiaramente Fuga. Il “se vuoi, puoi” diventa di più addirittura un inganno.
Siamo privilegiati. Il “se vuoi, puoi” si concretizza solo se ci sono delle opportunità. Se nasci in contesti sociali e territoriali che non offrono possibilità, il “se vuoi, puoi” non funziona. Ecco perché dobbiamo cominciare tutti a creare più opportunità per i ragazzi con disabilità, in ogni campo: a scuola, nel lavoro, nelle relazioni sociali.
«L’altra sera stavo presentando il mio libro Diciotto, che ho scritto per i 18 anni di Emma e alla fine una madre si è avvicinata e, con profonda malinconia, mi ha detto: “Non è così facile. La fatica, la solitudine le sento tutte”. Quindi, la campagna che stiamo portando avanti è una chiamata all’azione per tutti gli insegnanti e i genitori perché si comincino a creare opportunità in ogni campo, a scuola come nel lavoro e nelle relazioni sociali. Quanti dei nostri figli possono uscire a cena o andare a una festa con gli amici, senza alcuna discriminazione o problema? Io direi pochi».
Mamma, lì sono pienamente io
Che cosa vorrà dire davvero per Emma che la sua vita è “fare teatro” lo si scoprirà giorno per giorno. Per ora «lei dice semplicemente che vuole recitare, fare l’attrice. Credo, però, che per lei sia importante esserci, fare parte di questo esperimento, avendo l’occasione di esprimere se stessa. Non credo assolutamente che sia una questione di “avere successo”, ma è il riuscire a tirare fuori quello che ha dentro. Bastano le parole potentissime che mi ha scritto poco tempo fa in un messaggio su Whatsapp: “Mamma, lì sono pienamente io”. Parole che fanno brillare a me gli occhi e palpitare il cuore».
Le foto fornite da Martina Fuga
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