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Sindrome della Rassegnazione: la malattia dei bambini migranti

Ha fatto il giro del mondo l’opera vincitrice del World Press Photo che ritrae due ragazzine rom nutrite con un sondino, mentre dormono profondamente. Arrivate dal Kosovo in Svezia entrambe sono affette da “resignation syndrome” una patologia che colpisce i minori migranti solo in questo Paese

di Ottavia Spaggiari

L’hanno chiamata in tutti i modi: “malattia della bella addormentata”, “stato catatonico”, “apatia” eppure definire esattamente la “uppgivenhetssyndrom” (in inglese Resignation syndrome), letteralmente “Sindrome della rassegnazione” continua ad essere complicato perché, ancora oggi, questo disturbo che sembra affliggere solo i figli dei migranti in Svezia, rimane in larga parte un mistero.

A soffrirne sono prevalentemente bambini e ragazzi tra gli 8 e i 15 anni che improvvisamente cadono in uno stato di torpore profondissimo, incapaci di rispondere a qualsiasi stimolo vitale, faticano a svegliarsi e sono costretti a nutrirsi con un sondino.

La fotografia vincitrice del World Press Photo nella sezione Persone, racconta proprio questa malattia, ritraendo il sonno profondo di Djeneta e Ibadeta, due sorelle rom emigrate dal Kosovo in Svezia insieme alla famiglia. La foto, scattata dallo svedese Magnus Wennman, è stata pubblicata sul New Yorker in accompagnamento ad un reportage di Rachel Aviv, proprio su questo fenomeno.

«Djeneta, la più giovane delle due, era bloccata a letto da due anni e mezzo, da quando aveva 12 anni», scrive Aviv. «Un anno dopo la famiglia si è vista rifiutare la domanda di residenza e nell’arco di 24 ore anche la sorella di Djeneta, Ibadeta, di 15 anni, ha perso la capacità di camminare». Da allora le sorelle riposano su due lettini gemelli, nell’alloggio per migranti messo a disposizione dallo stato svedese, incapaci di alzarsi, nutrirsi, andare in bagno o rispondere ad alcuno stimolo.


Anche se le cause non sono chiare, così come non è chiaro perché la malattia sia stata identificata solo in Svezia, si ritiene che la sindrome colpisca prevalentemente i bambini e gli adolescenti con una storia di migrazione, soprattutto se il processo di richiesta del permesso di soggiorno si rivela particolarmente lungo e complicato.

Spesso si considera un fattore scatenante il rifiuto della domanda di residenza e, secondo diversi specialisti, garantire un permesso di soggiorno alla famiglia dei malati, aiutandoli così ad una stabilizzazione, contribuirebbe al miglioramento della loro condizione.

Il primo picco della sindrome, nei primissimi anni duemila. Nel 2005 erano stati registrati oltre 400 casi. «I letti dell’unico ospedale specializzato in psichiatria infantile, il Karolinska University Hospital iniziarono a riempirsi velocemente. Göran Bodegård, direttore del dipartimento, ha spiegato al New Yorker di provare un senso di claustrofobia, all’ingresso nelle stanze dei bambini. «È come se un’atmosfera da Pietà di Michelangelo li avvolgesse. Gli scuri erano chiusi e le luci erano spente. Le madri sussurravano fissando il buio e raramente parlavano ai bambini malati».

Nella rivista medica Acta Pædiatrica, Bodegård aveva descritto il paziente tipico come: «completamente passivo, immobile, senza tono, ritirato, muto, incapace di mangiare e bere, incontinente e non reattivo ad alcuno stimolo fisico o ad alcun dolore».

È come se un’atmosfera da Pietà di Michelangelo li avvolgesse. Le madri sussurravano fissando il buio e raramente parlavano ai bambini malati.

Göran Bodegård, psichiatra

I più colpiti: i figli delle famiglie provenienti dall’ex-Unione Sovietica e dalla ex-Yugoslavia. In un rapporto commissionato dal governo svedese nel 2006 e realizzato da un team di psicologi, sociologi e scienziati politici veniva ipotizzato che la sindrome fosse legata ad un elemento culturale, un disturbo psicologico endemico legato ad una società specifica. Secondo Edward Shorter, uno storico della medicina dell’Università di Toronto, ogni cultura possiede ciò che viene definito un «”repertorio di sintomi”, ovvero un range di sintomi fisici disponibili all’inconscio per l’espressione fisica del conflitto psicologico». Il Rapporto sosteneva che i bambini e i ragazzi affetti da questa patologia provenivano da «culture olistiche» in cui «risultava difficile definire dei confini precisi tra le sfere private individuali e la sfera collettiva. Anche se non c’era un incoraggiamento diretto, molti bambini cresciuti secondo un pensiero olistico, potrebbero comunque comportarsi seguendo le “regole non dette del gruppo”». Dal report risultava insomma che, come sottolineato dal New Yorker, il comportamento dei bambini fosse un modo per «sacrificarsi per le loro famiglie», ma che in realtà, il team di professionisti che hanno ricercato possibili cause della sindrome anche nei Paesi di provenienza dei malati, non hanno trovato nessun disturbo simile e «sembra che ignorasse l’influenza della cultura svedese sulla malattia».

La Commissione svedese per la Salute e il Welfare in una guida del 2013 sul trattamento della malattia sottolinea che: «Un permesso di residenza permanente è considerato di gran lunga il trattamento più efficace», identificando il «punto di svolta generalmente in un periodo che varia fino a 6 mesi dopo che la famiglia riceve un permesso permanente». Una teoria basata sulla nozione del “senso di coerenza” del sociologo israeliano Aaron Antonovsky’s secondo cui il benessere mentale dipende dalla convinzione che «la vita sia ordinata, comprensibile, strutturata e prevedibile».

«Come Freud», scrive il New Yorker, «Antonovsky suggerisce che la malattia psicologica deriva dall’incoerenza narrativa, una storia di vita che cambia corso».

In una lettera aperta al Ministero della migrazione svedese, 42 psichiatri hanno dichiarato che alla base della sindrome vi sono le nuove restrizioni sui richiedenti asilo e il tempo impiegato per processare le domande, per cui le persone sono costrette in un limbo per anni, una situazione definita dagli psichiatri «un abuso infantile pubblico sistematico».

Lo scetticismo iniziale sulla veridicità della sindrome è stato ormai cancellato dall’opinione diffusa della comunità internazionale, per cui dietro la malattia vi sono due traumi fondamentali: gli abusi subiti nel Paese di provenienza e la paura, dopo essersi ambientati in Svezia, di essere rimpatriati.

Nel 2017 sono stato registrati 60 casi di Resignation Syndrome.

Foto di copertina: Ottavia Spaggiari

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