Non profit
Sindaci sul tetto, appelli via Facebook. C’è un’Italia che dice «no»
Le ragioni di chi protesta
di Redazione
Prima ancora che su web, la protesta va per vie istituzionali. Come l’ordinanza del sindaco di Acquapendente, in provincia di Viterbo. Ha vietato ai cittadini di ammalarsi. Il motivo? La riconversione dell’ospedale locale. Da qui l’iniziativa – poco ortodossa – del primo cittadino, Alberto Bambini. Che ha scritto il testo nel classico stile della burocrazia: «Considerato che il territorio è privo di copertura sanitaria (…) ordina a partire dal 1° gennaio 2011… ai cittadini di evitare di contrarre qualsiasi malattia e patologia che necessiti un intervento ospedaliero soprattutto d’urgenza».
Il suo collega di Bisaccia (in Irpinia), Salvatore Frullone, è addirittura salito sul tetto dell’ospedale Giovanni di Guglielmo assieme a Salvatore Alaia, primo cittadino di Sperone. Entrambi avevano qualche settimana prima proclamato uno sciopero della fame. A muovere anche loro, l’ipotesi di una riconversione.
Associazioni e comitati, del resto, stanno proliferando nel Paese. L’avvicinarsi della scadenza e le pressioni perché le Regioni risolvano i loro deficit contribuiscono ad accendere i falò. Che difatti bruciano. Specie on line, in particolare nei social network. Su Facebook il gruppo “Salviamo l’ospedale di Acquapendente” ha mille amici. Quello che intende salvare la struttura di Ozieri in Sardegna ne ha poco più di 3mila. «Il nostro è un ospedale di periferia», premette il comitato che lotta per il suo mantenimento, «ma non possiamo accettare la scelta irresponsabile di ristrutturarlo. Anche il comitato è contro gli sprechi, ma l’ospedale deve rimanere il primo appoggio per queste comunità». Non solo per gli 11mila abitanti di Ozieri, anche per quelli dei municipi limitrofi, «tanto più che per arrivare a Sassari, visto come sono le strade, ci vogliono anche 45 minuti». Un problema, questo della distanza fra i futuri presidi poliambulatoriali e gli ospedali, che accompagna se non tutte, molte proteste. Quella di Bracciano, ad esempio. Qui il nosocomio dovrebbe diventare un ambulatorio infermieristico e servire, aggiunge il portavoce del relativo comitato, «un’utenza che d’estate arriva alle 230mila unità».
In qualche caso però non si ci si è limitati alla protesta. Sono state messe in atto iniziative concrete di sostegno. Ad esempio per “salvare” l’ospedale Sant’Anna di Ronciglione (ancora in provincia di Viterbo), la cittadinanza ha fatto fundraising: 5 per mille, contributi volontari di singoli e della locale Bcc. Erano per potenziare i reparti di una struttura che non vogliono sia ridimensionata. Dal canto loro, gli abitanti di Cariati (in provincia di Cosenza) per il “loro” ospedale, il Vittorio Cosentino, hanno scritto al capo dello Stato: «Immagini, caro Presidente, un infartuato che scende dalla zona montuosa in auto e percorre strade tortuose e dissestate, che impiega anche più di un’ora per arrivare a Cariati, dovrebbe essere messo in un’ambulanza del 118 e trasferito all’ospedale di riferimento situato a 40 chilometri di statale Jonica». [M.R.]
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