Non profit

Sindaci sotto attacco per i regolamenti sull’azzardo

La Federazione italiana tabaccai (FIT) denuncia i sindaci virtuosi alla Corte dei Conti. Gli amministratori, secondo la Fit, dovrebbero “risarcire” di tasca loro lo Stato, poiché gli hanno fatto incassare qualcosa in meno. Ma le cose non stanno così. Ecco perché

di Maurizio Fiasco

Grazie ai sindaci, che hanno contenuto l’invasione del gioco d’azzardo nei quartieri, i cittadini di tanti comuni hanno cominciato a moderare lo spreco di denaro in scommesse, slot machine e lotterie varie.

Adesso però la Federazione italiana tabaccai (FIT) li denuncia alla Corte dei Conti. Gli amministratori pertanto dovrebbero “risarcire” di tasca loro lo Stato, poiché gli hanno fatto incassare qualcosa in meno. Dice la FIT che rallentando, anche di poco, il ritmo dei giochi, si crea un danno. Ma sta andando proprio così? Se la gente, al posto di raschiare Gratta e Vinci o di restare incollata per ore al monitor delle slot machine, comprasse miglior cibo, e rinnovasse gli abiti, e si concedesse una serata in pizzeria o un week end di vacanza, davvero lo Stato ci perderebbe in tasse e balzelli?

Tutt’altro: lo Stato raccoglie tasse e imposte tanto quanto i cittadini consumano beni e utilizzano servizi “normali”. Al contrario quando gli italiani giocano d’azzardo, l’Erario riceve solo la percentuale fissa come prelievo sul giro di scommesse e lotterie. Il brutto è che l’imposta indiretta sui giochi è la più bassa mai applicata a un consumo (in questo caso voluttuario). Su 100 euro spesi per acquistare un paio di scarpe, vanno aggiunti 22 euro di IVA. Sulla stessa somma spesa in azzardo l’imposta indiretta è in media di 8,7 euro. Dunque: meno consumi, meno tasse versate; più spesa in azzardo, meno consumi; più spesa in azzardo, meno tasse ricavate dallo Stato. È un paradosso, ma il danno “contabile” lo arreca proprio il mercato dei giochi d’azzardo. Pervenuto a numeri incredibili: 88,250 miliardi di raccolta (anno 2015).

Per intuire l’enormità della spesa basta ricordare che il totale dei consumi delle famiglie (per ogni esigenza: dalla casa al pane) è pari a circa 850 miliardi annui. E allora, perché non compilare, finalmente, un vero bilancio della partita? In questo caso si dovrebbe segnare in una colonna la differenza tra il gettito fiscale dei giochi e le mancate entrate causate da depressione dei consumi familiari (inibiti ovviamente dalla spesa per qualcosa che non serva ad altro che all'azzardo).

Per intendersi: sul gioco, come su ogni attività economica, gravano due tassazioni. Quella indiretta, sul consumo, e quella diretta, sui redditi delle persone giuridiche. Ebbene nell’azzardo di Stato IVA, accise e altri gravami al consumo sono conglobati nel Prelievo Erariale Unico (PREU). Sul complesso dell'azzardo la media che risulta per le imposte indirette è inferiore al 10% del consumo lordo di giochi: è così che sono entrati all’Erario quasi 8,7 miliardi di Euro (al lordo anche dei costi di amministrazione…) sugli 88,250 della raccolta registrata nell'anno 2015. Ma il prelievo erariale unico varia a seconda delle tipologie: è fissato al 2 per mille nelle scommesse virtuali e si aggira sul 50 per cento nel Superenalotto.

Insomma, più gli italiani destinano loro reddito al gioco d’azzardo, meno lo Stato incassa dalle imposte indirette sui consumi da produzione e da servizi (e di questi infatti prosegue la depressione, che perciò alimenta la recessione economica).

Ma oltre a questa perdita “relativa” vi è da sommare quella “assoluta”. Ed è determinata dall’assenza di entrate da tassazione diretta sui redditi di parte delle società concessionarie (e ovviamente su partner off shore di queste). Ad aggiudicarsi una grande fetta delle concessioni, infatti, sono state major del gambling aventi sede fiscale in altri paesi: UK, Lussemburgo, Malta. Non mancano società del betting (scommesse e casinò on line) che impiegano sedi operative (e dunque che contabilizzano costi e ricavi gestionali) nei paradisi fiscali, caraibici o australi che siano.

Il colosso mondiale del settore, formatosi con l'evoluzione del grande gruppo Lottomatica e che è arrivato di recente ad acquisire un gigante statunitense del settore, per l’appunto ha sede fiscale in Gran Bretagna. Altri “vecchi” campioni italici non sono più Tricolori, ma battono nuove bandiere, nel vecchio continente è nel nuovo mondo.

Rovesciamo dunque l’accusa circa i mancati introiti generali dello Stato. E scopriremo che con i loro provvedimenti “calmierativi” i sindaci, mentre riducono i danni sociali e personali del consumo capillare d'azzardo, contribuiscono per converso al rilancio dei consumi familiari ordinari. E dunque al rifornimento delle casse dello Stato con imposte, tasse e tributi sul mercato di beni e di servizi di uso quotidiano.

Per non tacere, infine, sia dei costi per la riabilitazione delle persone affette da gioco d’azzardo patologico, e della grande quota di scommesse, slot machine e simili che girano “in nero”, sfuggendo alla registrazione da parte dei Monopoli di Stato e alimentando la criminalità.”

Attendiamo perciò di sapere se i magistrati contabili ravviseranno una temerarietà nell’esposto della Federazione italiana tabaccai circa un presunto danno erariale addebitabile ai Comuni. L'iniziativa contro regolamenti e ordinanze dei sindaci, cioè contro atti amministrativi adottati per contenere le conseguenze sociali negative del gioco d'azzardo nelle città, è comunque molto interessante: per cominciare davvero a contabilizzare costi e benefici dell'inflazione di scommesse, lotterie, slot machines e altri consumi di alea in Italia.

*Maurizio Fiasco è Presidente di Alea, associazione scientifica per lo studio del gioco d’azzardo e dei comportamenti a rischio

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