Sostenibilità
Simone Moro: «Così faccio i conti con la montagna»
È la nuova star dell’alpinismo, il vero erede di Messner. Infatti da lui ha imparato che ci si deve inventare imprenditori di se stessi. E che le scalate sono solo una piccola parte della professione. Un anticipazione dell'intervista allo scalatore contenuta sul numero di VIta Bookazine di luglio, in edicola e nei Mondadori store
di Redazione
Prima il reality sul Monte Bianco con una media di quasi 1,3 milioni di spettatori a sera per cinque puntate, poi la conquista del Nanga Parbat, la killer mountain himalayana costata la vita a Günther Messner, il fratello di Reinhold, raggiunta in pieno inverno, impresa mai riuscita a nessuno. Pochi dubbi che quello di Simone Moro sia il volto da copertina che ogni esperto di marketing si giocherebbe per promuovere la montagna. E sarebbe una scelta azzeccata. Per molti Moro infatti è l’erede di Messner. Non solo in quota, ma anche dietro una macchina da scrivere o una videocamera.
La montagna sembra essere diventata di moda. Come se lo spiega?
La montagna è l’ultimo luogo di libertà. Oggi persino quando vuoi fare sport sei ingabbiato. In piscina, a calcetto, karate. Tutte attività salutari per carità. Orari, corsie, spazi chiusi. Sei sempre dentro una cornice. La montagna invece rimane un’oasi di libertà, dove decidi tutto tu: i tempi, le regole, la velocità. La gente incomincia ad averne pieni i coglioni di un sistema che ti mette in fila dappertutto: in piscina ti danno la chiave per lo spogliatoio però entro due ore devi uscire, se no devi pagare il supplemento. Basta.
Quanti sono gli alpinisti in Italia?
Non più di cinque. Ma intendiamoci l’alpinista professionista è uno che campa di questo. Si paga il mutuo e la pensione e ha una famiglia esclusivamente scalando e raccontando. Se uno invece fa anche altro, che so la guida alpina o il ristoratore il sabato e la domenica, quello è un altro discorso. Vivere e sopravvivere di alpinismo sono due cose molto diverse.
Che un alpinista scali una montagna mi pare naturale, ma perché deve anche saperla raccontare?
Scalare bene non basta. Conquistare il Nanga Parbat, non basta.
Tutto questo vale solo il 30% di quello che serve per diventare professionista. Il resto ha a che fare con l’arte della narrazione: libri, corsi motivazionali e così via. L’alpinista professionista oggi è un imprenditore di se stesso. Messner è stato il primo a concepire questa dimensione. Io probabilmente sono il solo della mia generazione che mette in pratica quel- lo che Messner ha fatto benissimo con grande anticipo. Lo so. Sembra un paradosso, ma per diventare un professionista della montagna è vitale saper raccontare. E per farlo nel modo adeguato è necessario comprendere i meccanismi produttivi di un’azienda in modo da collocare nella cornice giusta il racconto. Il punto è capire la tua funzione…
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Sostenibilità ambientale, cooperazione economica, accoglienza e ospitalità: dagli Appennini alle Alpi si sta affermando un laboratorio strategico per il futuro del Paese. Ne parliamo nel bookazine di luglio dal titolo “Montagna Felix”. 50 pagine di voci, esperienze, numeri per scoprire un'Italia che sa coniugare tradizione e futuro, identità e accoglienza, crescita e sostenibilità. Tra le altre le voci di Reinhold Messner, Giovanni Lindo Ferretti, Simone Moro e Giuseppe De Rita. Da oggi in edicola, nei migliori Mondadori store e online
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